Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

25 febbraio 2014

DOVEROSA CITAZIONE DI DUE DIZIONARI DEI FILM: IL “MORANDINI 2014”, E “IL MEREGHETTI 2014”.

Si tratta di un ausilio quasi indispensabile per il professionista, l'appassionato e per lo spettatore che voglia semplicemente controllare un dato o un titolo rapportati alla programmazione televisiva.

Una volta all’ anno mi capita un avvenimento fortunato. E ogni due o tre anni un altro avvenimento doppiamente fortunato. Cioè l’apparizione di una nuova edizione del Dizionario Cinematografico di Morando Morandini. Il suo titolo, per l’esattezza, è “Il Morandini”, diventato ormai una equivalente definizione di un dizionario cinematografico. Infatti è uscito proprio adesso- mi è stato fatto pervenire con la consueta efficienza dalla dottoressa Lisci dell’Ufficio stampa della Zanichelli il “Morandini 2014”- come sempre a cura di Laura, Luisa e Morando (Laura è la moglie di Morando e la mamma di Luisa: il dizionario nasce dallo schedario che essa aveva accumulato ai suoi tempi e dopo la sua scomparsa il marito e le figlie, compresa Lia, lo ricordano così, oltre che con un annuale festival cinematografico, appunto il “Laura Film Festival”, che si svolge in estate nel paese di nascita di lei, Levanto, in provincia di La Spezia). L’altro avvenimento doppiamente fortunato a cui faccio riferimento prima, è l’apparizione di un altro grande Dizionario e cioè “Il Mereghetti” del 2014, che usciva prima ogni due anni ed ora ogni tre, che per questo è più corposo: due volumi per i film propriamente detti e uno per gli indici. Segnalo queste uscite con qualche mese di ritardo (spero di essere perdonato). Entrambe le edizioni sono state stampate nell’ottobre scorso, e quindi posso parlarne senza apparire troppo fuori tempo. Come dicevo prima nei confronti di entrambi gli autori credo di poter vantare un’ampia dote di consapevolezza critica, che implica, al tempo stesso, come ho detto prima, un profondo legame di amicizia. Da molti anni Paolo Mereghetti gode di tutta la mia fiducia, umana e professionale. D’altro canto a Morando Morandini sono legato da un antico rapporto di profonda e amichevole reciproca fiducia, che risale ai primi anni ’60, e quindi è più di mezzo secolo fa. Di sua moglie ho già detto, spero con una intensità che rievochi sia l’affetto che la stima per il lungo lavoro di schedatura che ha costituito la base di partenza del dizionario di famiglia. E in quanto alle due “bambine Morandini”, posso dire di averle conosciute quando entrambe frequentavano ancora la scuola elementare. Ad ogni mostra di Venezia le vedevo nel piccolo, periferico Hotel Sorriso del Lido, insieme ai loro coetanei, fra cui Giovanni Kezich, figlio di Tullio, e Oscar Cosulich, figlio di Callisto. Ora Lia, che abita da anni a Roma, è una notissima costumista di cinema, mentre Luisa, che ho già citato, è una delle principali collaboratrici di suo padre nella “confezione” del vocabolario. 
Io appartengo ad una generazione di cinefili professionisti che per anni si sono alimentati con i dizionari del cinema di autori tutti stranieri, dopo il fondamentale Filmlexicon di Pasinetti, e cioè Sadoul, Halliwell, Maltin, Lourcelles, Tulard, eccetera. Ma ormai dal molto tempo il loro posto è stato preso da due italiani: Paolo Mereghetti, ogni due anni, e appunto Morando Morandini ogni anno. Entrambi sono vecchi amici, per cui consultando i loro testi rendo anche concreto ogni volta un rapporto d’affetto. Che coesiste, diciamo la verità, con un riflesso egoistico, vista la qualità delle opere. Guardiamo ai dati: il Morandini di questo anno comprende 25.000 film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate del 2013. Più esattamente i 25.000 film sono quelli citati nell’edizioni on-line e in DVD (il DVD è allegato ad ogni volume) mentre l’edizione su carta fornisce la trama di circa 20.000 titoli. Il motivo sostanziale di interesse è rappresentato dal fatto che per ogni film  vengono forniti alcuni dati essenziali, un conciso riassunto della trama, un giudizio di merito non di rado molto elegante, oltre che, attraverso stellette e palline, un riassunto del successo di critica e di pubblico. E naturalmente i dati favorevoli non si esauriscono in queste cifre. Complessivamente si tratta di 2048 pagine, il testo contiene, come sempre, schede monografiche su cicli e serie, elenchi di cortometraggi  segnalati in vari festival, elenchi di serie tv di particolare interesse ed, oltre i soliti elenchi per titoli, attori e registi, ve ne è anche uno, come è tradizione del Morandini, di autori letterari e teatrali dalle cui opere sono tratti dei film (è una utilissima curiosità dell’opera). Come risulta evidente da questi dati si tratta di un lavoro collettivo di grande impegno e di grande risonanza. Naturalmente non è detto che si debba essere d’accordo con tutti i giudizi contenuti nel Dizionario (il quale, come tutte le opere consimili, è frutto dell’apporto di occhi e mani diverse, ovviamente coordinate sotto la direzione degli Autori, e quindi di opinioni variamente articolate). Ma, ripeto, si tratta nel complesso di un libro di prezioso e raffinato impegno che, di fatto, ha reso inutile il ricorso a fonti straniere, un tempo quasi inevitabili per lo specialista e l’appassionato. Vorrei precisare che il prezzo complessivo del libro più Dvd-Rom è di euro 37,60. E’ difficile pensare che acquistarlo non rappresenti un buon investimento.
Altrettanto dicasi del Mereghetti, che uscendo ogni due o tre anni è ovviamente più corposo. Gli indici fondamentali sono eguali in entrambi i testi, con la differenza che nel Morandini non c’è più elenco dei titoli originali che è presente invece nel Mereghetti, ma in compenso c’è il (raro) elenco degli “Autori letterari e teatrali”. Entrambi i Dizionari contengono, seppure con diversa elencazione globale, voci riguardanti i personaggi “seriali”. Ad esempio nel Mereghetti sono 56 le voci tematiche dalla “A” di “Agente 007” alla “Z” di “Zorro”. Altrettanto numerose sono le voci “biografiche” citate dal Morandini. Diverse sono spesso le voci minori. Ad esempio nel Morandini cita i “principali siti internet dedicati al cinema”, e via dicendo. Entrambi i Dizionari sono frutto di un ampio lavoro collettivo, ma mentre il Morandini cita in massa i “co-autori”(divisi in Collaboratori, Rilettura, Corti a cura di, Serie Tv a cura di, Redazione, Correzione Bozze, Copertina, Elaborazione automatica dei testi, Progetto grafico, Composizione, Software di consultazione, Immagini a cura di, Edizione on line, Coordinamento della stampa e confezione). Troppi perché io possa ricopiarli qui. Il Mereghetti si limita invece a citare un numero ristretto di collaboratori (presumo principali) che sono: Alberto Pezzotta, Filippo Mazzarella, Roberto Curti, Alessandro Stellino, Pier Maria Bocchi, Carlo Alberto Amadei e Elena Martelli Gracis.
E’ stato per me un piacere ripercorrere con voi le comuni strade cinematografiche di due vecchi amici (a completamento dei dati specifici forniti per il Morandini ricordo che i tre volumi del Mereghetti, riuniti in un cofanetto, costano complessivamente 49,90 euro).

24 febbraio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici, 
abituale cerimonia del lunedì mattina con il "recupero" della mia rubrica domenicale sul "Corriere Mercantile". Mi dicono che - fatta salva la differenza fra venti righe di scritto e un' ora di parlato - il tema di fondo, e cioè l'imperscrutabilità dell'Italia sempre incerta fra trionfo e catastrofe, sia affine ai concetti espressi da Maurizio Crozza nel suo intervento al Festival di Sanremo. L'ho cercato al telefono per dirglielo ma ha il cellulare, comprensibilmente, sempre occupato. Riproverò.

VISTO CON IL MONOCOLO
ITALIA CATASTROFICA MA A TEMPO
Consapevole che tutto sembra andare male ho deciso di cedere ad un incongruo accesso di ottimismo, riguardante lo stato dell’Italia e l’Italia dello Stato. In apparenza peggio di così le cose non potrebbero andare: l’Italia sembra andare veramente in liquidazione, anche in senso idrologico. Si pensi al vergognoso cedimento della ferrovia nei pressi di Andora, quasi un simbolo del quieto crollo dell’intera regione. E al fatto che l’Italia intera, dopo essere sopravvissuta per secoli, sembri liquefarsi sotto il peso delle piogge, che però c’erano anche in passato. Dal canto loro i Comuni non riescono neppur più a riparare le buche delle strade cittadine mentre in periferia si ergono gloriosamente gli splendidi resti delle costruzioni romane, a volte felicemente funzionanti. E la cronaca nera non riesce a tener dietro ai crimini più spietati (femminicidi, bambini uccisi sulle strisce, eccetera) mentre i processi per corruzione sono divenuti ormai una litania, ripetitiva e fastidiosamente deprimente. Insomma un bilancio clamorosamente negativo di una repubblica in apparente stato di fallimento. L’unica speranza è che questa sia la parte finale di una terribile congiuntura negativa a cui deve fatalmente fare seguito un momento di grande e insperato successo. É quel che è successo sempre in Italia, almeno nel dopoguerra, fra successivi alti e bassi attraverso i quali siamo perigliosamente arrivati ai giorni nostri. A testimonianza del fatto che l’Italia è un paese meticolosamente imprevedibile, che sembra alternare sistematicamente il successo e la sconfitta al di là di ogni ragionevole previsione. Ad esempio il terrorismo ha infuriato in molti paesi europei. Ma in Germania e in Francia bastarono le poche decine di militanti della “Rote Armee Fraktion” e di “Action directe” per mettere quasi in ginocchio le due più importanti nazioni d’Europa. Parallelamente in Italia ci fu una sorta di vasta esplosione incontrollata di iniziative (brigatiste) totalmente indipendenti nell’intero paese. E, non si sa come, ne siamo usciti sorridendo. In questo strano paese più le cose vanno male e più potranno andare bene. In questi giorni siamo proprio al punto giusto per cambiare tutto ancora una volta.


17 febbraio 2014

A DOMANDA RISPONDE


Rispondo subito ai contributi di Luigi Luca Borrelli e di Enrico a proposito di Melville pubblicati nel Blog il 10 Febbraio. Per quel che riguarda Borrelli gli farò osservare che “l’americanità” di Melville aveva due articolazioni diverse. La più importante era quella che riguardava il suo “emballement” per il cinema americano: ritrovi Borrelli l’elenco dei registi americani da lui prediletti (è chiaro, in un momento dato della storia del cinema) e si imbatterà in una gloriosa, vecchia guardia hollywoodiana, compresi i nomi di alcuni considerati “mestieranti” ma di cui Melville, da uomo del mestiere che sapeva cosa voleva dire girare un film, aveva il massimo rispetto.  
In altro senso il gusto “americano” di Melville si può ritrovare, secondo me, in un piacere minuto della frammentazione con cui egli articola il discorso dei film, e che fa pensare a certi gialli post-bellici Usa. È chiaro che i riferimenti visivi (come dire, antropologici e di luoghi) sono profondamente francesi, a volte parigini come lo era lo stesso Melville. Il suo amore per l’America è comunque ribadito da una delle sue opere più curiose, e cioè “Deux hommes dans Manhattan” (in italiano contraddistinto da un titolo come sempre eccessivo: “Le iene del quarto potere”). Girato a New York, in una città buia e tutta da indovinare, è il massimo momento di devozione a quell’America da lui sempre profondamente sognata come ideale alternativa.

Mi sembra interessante il riferimento che fa Enrico, da un lato con un elogiativo giudizio su “Lo spione” (Le doulos) e dall’altro con un aperto elogio per un “polar” relativamente recente (2008) come “L’ultima missione” (MR 73) di Olivier Marchal. Questi è un attore e regista che è stato veramente un poliziotto, e che qui ci parla di un “flic” alcolizzato e disperato, il quale dà la caccia a un “Serial killer”. La presenza di Daniel Auteuil garantisce la continuità di un immenso e sommesso divismo, non di rado legato appunto al poliziesco, che resta un piccolo-grande orgoglio del cinema francese.  

10 febbraio 2014

A DOMANDA RISPONDE

Credo sia opportuno rispondere subito a Luigi Luca Borrelli, che ha inviato un commento a proposito del mio brano “Renato Venturelli e il cinema noir”. È fuor di dubbio che l’infinita competenza di Renato risente anche di una forzata “specializzazione” americana… inevitabile tenuto conto del peso delle due cinematografie. Si badi, non che egli abbia qualche cosa contro la Francia. Sua moglie è addirittura ordinario di letteratura francese nella facoltà di lingue dell’Università di Genova e lui stesso passa ogni anno una o due settimane a Parigi, che adora percorrere a piedi riscoprendo man mano il famoso telaio centrale dei Boulevards. Quel che mi pare importante rilevare nell’elenco da lui inviato è il carattere “ristretto” dei titoli. Solo alcuni a titolo esemplificativo, e non tutti quelli che potrebbero tornare utili. Questo spiega il numero relativamente ridotto dei film di Melville da lui citati. Renato si limita a fornire un esempio e non un riassunto. Se c’è qualcuno particolarmente sensibile al mito melvilliano credo di essere proprio io. In tempi non sospetti pubblicai, nel maggio del 1974, ne “La Rivista del Cinematografo”, un lungo brano – sono più di 10 pagine ne “Le Camere di Lafayette” dove lo ripresi nel 1979 – in cui, da solitario, ho dato prova della mia naturale fedeltà al regista. Ed anche del colore e del calore che mi consentirono poi di allestire a Rai Uno una personale di Melville, quasi rivoluzionaria per l’epoca. Se vi si lamentava l’assenza di film recenti non ceduti dai titolari, essa poteva in compenso vantarsi di recuperare tre delle sue opere iniziali, inedite fino a quel momento in Italia, e cioè “Il silenzio del mare” (1947); “I ragazzi terribili” (1950); “Bob il giocatore” (1956). Ognuno a modo suo, l’articolo ed il ciclo televisivo, misero in moto un vero e proprio risveglio delle coscienze cinematografiche di casa nostra, nei confronti di un genio del cinema, trattato fino a quel momento dalla critica nostrana con molta degnazione. All’interno di quel che ho scritto prima è chiaro che i film di Carné, di Renoir e di Clement hanno, nella valutazione e nella citazione di Renato, un carattere al tempo stesso introduttivo ed evocativo, tale da giustificare l’urgenza di un clima di cui il nero propriamente detto non avrebbe mai più potuto fare a meno.
Naturalmente grazie a Anonimo ed a Rosellina. La mia salute va benino ma non benissimo.

É USCITO IL PRIMO DEI TRE LIBRI ANNUNCIATI

In passato ho fatto presente diverse volte che stavo preparando la pubblicazione di tre libri differenti. Gli ultimi due sono, seppur a diverso livello di preparazione, abbastanza vicini alla conclusione. Il primo, invece, è uscito da poco, per i tipi dell'Editore genovese De Ferrari, compreso nella collana Oblò diretta da Mario Paternostro. Si tratta di un materiale famigliare per i lettori abituali del Blog, perchè riunisce in un corpo unico i primi 12 mesi della Rubrica domenicale del "Corriere Mercantile" che si intitola Visto con il Monocolo. Da tempo ho preso l'abitudine di pubblicarla sul Blog il giorno dopo la sua comparsa sul giornale. L'ho fatto soprattutto pensando agli (eventuali) lettori che non risiedono in città e che pertanto non hanno nessuna possibilità di trovare in edicola un giornale distribuito sostanzialmente nella provincia di Genova (dove esce "in panino", come si dice in gergo, insieme a "La Stampa"; anzi è stampato direttamente a Torino). E quindi evidente che per un lettore abituale del Blog, il libro non rappresenta, in sé e per sé, una novità totale. Anche se trovare tutti i testi di un anno "rilegati" insieme consente valutazioni e paragoni che la sola pubblicazione settimanale non permette. Ma è evidente che con il libro mi rivolgo soprattutto a lettori che non necessariamente sono affezionati al Blog.
Sarò invece lieto di sapere quali saranno le reazioni dei lettori abituali di "Clandestino in Galleria"di fronte ad una pubblicazione che potrà apparire a qualcuno perfino un atto di immodestia.

Per informazioni sul libro potete consultare il sito di De Ferrari Editore :
(http://www.editorialetipografica.com/main.asp) che vi consentirà subito di trovare "Visto con il Monocolo" in prima fila fra i libri "freschi di stampa".
Riproduco qui la copertina del libro, disegnata da mia moglie Elena Pongiglione

L'OSSERVATORE GENOVESE

Cari amici, 
solita cerimonia del lunedì mattina. E cioè il recupero per il blog della mia rubrica domenicale sul "Corriere Mercantile". Riguarda un tema "meridionalista" che mi ha sempre intrigato moltissimo e sul quale sarei lieto di conoscere l'opinione dei lettori.
Resto in attesa e molti saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

L'ITALIA DEL SUD RESTA UN ENIGMA
Appartengo ad una generazione che ebbe dell’Unità d’Italia la visione semplicistica ricevuta nella scuola elementare. Una grande galoppata di Garibaldi da un lato, e di Vittorio Emanuele II dall’altro, per recuperare i frammenti di un regime borbonico, caduto in pezzi anche per la sua intima inefficienza. Da una parte i Bersaglieri, dall’altro i banditi feroci. Un po’ come nel “Brigante di Tacca del Lupo” (libro di Bacchelli “prima versione” 1936; film di Germi, con Amedeo Nazzari, del 1952). Dovettero arrivare i romanzi di Carlo Alianello per farci nascere in testa qualche dubbio, e per renderci poi conto che nella conquista “piemontese” dell’Italia del sud non tutto era mirabile. In questi ultimi anni è stato poi sufficiente leggere nel web quel che viene scritto nei siti neo-borbonici, per comprendere come i semi di questo “indipendentismo” meridionale abbiano poi potuto fruttificare nel crollo generale dello stato italiano. 
Tuttavia c’è un elemento di fondo che anche i neo-borbonici trascurano e che sicuramente non può essere addebitato ai “piemontesi”. E cioè l’aumentar continuo e minaccioso di quattro agglomerati del crimine organizzato, che secondo le cronache giornalistiche hanno il centro in Sicilia (Mafia), in Calabria (N’Drangheta), in Campania (Camorra), in Puglia (Sacra Corona Unita). La Mafia a suo tempo l’abbiamo esportata negli Stati Uniti, dove ha dato origine ad un ramo industriale applicato, Cosa Nostra. Adesso si dice che la N’Drangheta tenda ad estendersi in Germania e per quel che riguarda la sua influenza da noi ho letto, con un certo avvilimento, in Cobra (2010) del famoso Frederick Forsyth che il porto di Gioia Tauro è totalmente nelle sue mani. A Napoli ed in Sicilia nel corso della mia vita ho avuto il piacere di conoscere alcuni dei miei migliori interlocutori: finezza di giudizio, eleganza del lessico, umorismo nella divulgazione fantasiosa, cultura di fondo rassodata, non riassumono che in parte i tanti pregi dell’intelligenze meridionali. Eppure tutto questo contrasta con quel terribile quadro criminale a cui prima ho accennato e che è un prodotto squisitamente del sud. Di cui si può dare colpa solo al sud. Come si spiega questo mistero?

6 febbraio 2014

UNA PRECISAZIONE DI  RENATO VENTURELLI    

Mi ha scritto Renato perché è preoccupato per una cosa che può sembrar minima ma che non lo è. Egli teme che i lettori, e particolarmente l’Anonimo che è all’ origine di tutte le richieste, possano pensare che i suoi libri riguardino il noir francese! In realtà non e cosi. Tutti riguardano invece il cinema americano, fatta eccezione per le due pubblicazioni su Clouzot e Becker, redatte per conto del Centro Galliera ( che allora esisteva a Genova ) e il cui compito era la diffusione in città della cultura francese. Del resto entrambe sono fuori commercio.
Mi auguro di avere cosi dissipato un piccolo, potenziale equivoco, che avrebbe potuto  nascere nell’animo dei lettori.



4 febbraio 2014

RENATO VENTURELLI E IL CINEMA NOIR


Nei contributi giunti sul Blog in data 29 gennaio 2014,  in occasione di un mio “A domanda risponde” c’è anche il seguente brano di Anonimo:

“Gentile Maestro, complimenti per il suo blog, che consente di rivivere il piacere delle sue presentazioni televisive. Non so è lecito formularLe una richiesta... Un caro amico ieri sera mi chiedeva quali sono i titoli essenziali di una filmografia "noir" francese. Mi piacerebbe conoscere se possibile il Suo verdetto, e quello dei suoi qualificati lettori!”

Ho preso sul serio la richiesta e, nella consapevolezza che le mie condizioni di salute mi tagliano un po’ fuori dal mondo, ho chiesto l’aiuto di un caro amico che è anche uno specialista del genere. Si tratta di Renato Venturelli, da molti anni critico cinematografico dell’edizione genovese (“Il Lavoro”) de “La Repubblica”. Renato è uno di quei piccoli gioielli che Genova cova e non esporta (per fortuna, verrebbe fatto di dire, anche se non per fortuna loro). 
Renato è uno degli autori sicuramente più attendibili in Italia in fatto di “noir”. L’ho indotto a riassumermi almeno una parte delle sue pubblicazioni, ed ecco quel che mi scrive:

Caro Claudio, intanto ti mando i miei libri:

POLIZIESCO AMERICANO IN CENTO FILM (Le Mani, 1995)
GANGSTER IN CENTO FILM (Le Mani, 2000)
L’ETA’ DEL NOIR (Einaudi 2007)

poi ho curato:

HOMMAGE A HENRI-GEORGES CLOUZOT (Galliera, 1994)
HOMMAGE A JACQUES BECKER (Galliera, 1995)
CINEMA & GENERI l’annuario (Le Mani), per otto anni dal 2005 al 2012

in tema anche pubblicazioni per cineclub come:
I DETECTIVES (Lumière 1980), 
AFFARI SPORCHI – IL FILM GIALLO NEGLI ANNI 80 (Club Amici del Cinema, 1991)

come singoli interventi: 
articolo su Genova e il poliziesco, catalogo del COURMAYEUR NOIR IN FESTIVAL 1997, alla voce GANGSTER E DETECTIVE. 
IL CINEMA CRIMINALE AMERICANO nella Storia del cinema Einaudi (2000); 
le voci sul cinema gangster e carcerario nell’Enciclopedia Treccani del cinema;
la voce sul NOIR CONTEMPORANEO nell’Enciclopedia Treccani XXI secolo (2009); 
le voci su SAM SPADE e PHILIP MARLOWE sul Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi ecc.

La lista potrebbe continuare ma mi sembra di essere già passato a cose fin troppo minori

Ciao.”

E’ una lista più che significativa, mi sembra, e vorrei aggiungere che tutti gli appassionati aspettano il secondo volume di quell’ “Età del noir”, che Renato ha pubblicato nel 2007  con Einaudi e che rappresenta già un piccolo classico sull’argomento. 
Pubblico adesso qui di seguito l’elenco dei film che Renato mi ha inviato, specificando, nella prima parte, per ogni titolo (italiano e/o francese) il regista e due o tre attori principali:

Il porto delle nebbie (Le quai des brumes, 1938) di Marcel Carné con Jean Gabin e Michèle Morgan;

Pepé le Moko (Il bandito della Casbah, 1936) di Julien Duvivier con Jean Gabin e Mireille Balin;

Alba tragica (Le jour se lève, 1939) di Marcel Carné con Jean Gabin e Jules Berry;

Il corvo (Le corbeau, 1943) di H. G. Clouzot con Pierre Fresnay e Ginette Leclerc;

Legittima difesa (Quai des Orfèvres, 1947) di H. G. Clouzot con Bernard Blier, Louis Jouvet e Suzy Delair;

Grisbi (Touchez pas au grisbi, 1954) di  Jacques Becker con Jean Gabin, Lino Ventura e Jeanne Moreau;

Rififi ( Du rififi chez les hommes, 1954) di Jules Dassin con Jean Servais.

La grande razzia (Razzia sur la Chnouf, 1954) di Henri Decoin, con Jean Gabin e Marcel Dalio;

Tutte le ore feriscono l’ultima uccide (Le deuxième souffle, 1966) di J. P. Melville, con Lino Ventura, Paul Meurisse;

Frank Costello faccia d’angelo (Le samouraї, 1967) di J. P. Melville con Alain Delon

Il tagliagole (Le boucher, 1969) di Claude Chabrol con Stèphane Audran e Jean Yanne

Ultimo domicilio conosciuto (Dernier domicile connu, 1969) di Josè Giovanni con Lino Ventura e Marlène Jobert

La seconda parte di Venturelli continua così:

Per avere un quadro più ampio:
I diabolici, Il buco (carcerario), Ascensore per il patibolo, Delitto in pieno sole, La fredda alba del commissario Joss, La piscina, Fino all’ultimo respiro, qualche Chabrol (Il tagliagole tra i miei preferiti, ma anche Il buio nella mente). Flic Story e Police Pyton 357 sono secondo me tra gli ultimi esempi di un noir/polar francese classico.
Tra i successivi segnalo l’anomalo Police (che non ho mai più rivisto, però), Nikita, Sulle mie labbra, i noir di Olivier Marchal (es 36 quai des orfevres), Il profeta (carcerario), ma per gli ultimi 15 anni troppi film non si sono visti da noi...

Renato Venturelli."

Mi auguro che l’ Anonimo, che ha formulato la richiesta, sia soddisfatto. 

3 febbraio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

In omaggio a quella che oramai è diventata un'abitudine ricopio qui il testo della mia rubrica sul "Corriere Mercantile", apparsa domenica 1 febbraio 2014. Chi legge il mio testo si renderà conto che esso esige qualche ulteriore chiarimento, che non potevo disporre nel testo stesso per problemi di spazio. Lo scriverò qui di seguito subito dopo la rubrica.


VISTO CON IL MONOCOLO

IL FASCINO ROMANZESCO DELLA "ROYAL NAVY"
Mi son chiesto tante volte perché l’Italia non disponga di un “patrimonio” di romanzieri che attingano, per la loro fiction, all’immenso patrimonio storico che il nostro paese ospita (fino ai romani ed agli etruschi!). Naturalmente ci sono molti esempi in materia, giallisti compresi, di scrittori del passato e del presente (penso al dilettantesco ma geniale Massimo D’Azeglio ed al suo “Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta”) che fanno proprio questo. Ma fuori di dubbio  manca una “scuola” che sfrutti sistematicamente il meccanismo di fondo. Tutto questo ce l’hanno invece gli inglesi. I quali dispongono, e vero, di una lingua ben altrimenti diffusa rispetto all’italiano ma anche di una straordinaria capacità di affascinare il mondo intero lavorando su capitoli specifici e “centralizzati” della loro storia. Penso a due scrittori di alto livello e d’immenso successo internazionale, entrambi specializzati nell’inventare delle saghe “divistiche” centrate su Ufficiali della “Royal Navy” durante il periodo delle guerre napoleoniche. Si tratta di C.S. Forester (Cecil Louis Troughton Smith, 1899-1966) e di Patrick O’Brian (Richard Patrick Russ, 1914-2000): il primo con gli almeno 13 romanzi del ciclo del Capitano Hornblower, il secondo con i 20 conclusi e il ventunesimo, incompiuto per la morte dell’autore, centrati sulla famosa coppia formata dal Comandante Jack Aubry e dal chirurgo e agente segreto Stephen Maturin. I due autori furono entrambi personaggi bizzarri (vite familiari convulse, identità mutate, O’Brian s’inventò anche una inesistente etnia irlandese). Ed entrambi danno prova di polso romanzesco, di un forte amor di storia e, soprattutto, di una straordinaria competenza su una navigazione regolata solo dai capricci del vento. Entrambe le saghe esigono un dizionario specialistico, che elenca in modo affascinante le centinaia di termini specifici indispensabili per la navigazione a vela. Ogni volta che rileggo ognuno dei due compio la stessa esplorazione terminologica: imparo i nomi degli oggetti, degli alberi e delle vele, per un attimo capisco e poi dimentico subito tutto. Il segreto degli inglesi è tutto qui: utilizzare la loro storia convulsa per farne straordinari tralicci di romanzo. E perché gli italiani no?


Nota di chiarimento
Mi pare evidente che, nonostante le 60 battute in più "rubate" alla collega Guglielmina Aureo del Mercantile, quel che ho scritto esige un ulteriore chiarimento. Nelle ultime righe del mio brano mi chiedo perché gli inglesi sappiano utilizzare la loro storia convulsa per farne tralicci di romanzo e noi no. É evidente che sono consapevole del fatto che la storia d'Inghilterra è da molti secoli una storia unitaria (semmai faticosamente divisa a momenti col Galles, Scozia e soprattutto Irlanda del Sud e del Nord). Mentre la nostra lo diventa soltanto a Risorgimento compiuto, o comunque consolidato, con la presa di Roma nel settembre 1870 e la sparizione dello Stato della Chiesa. Pertanto è impossibile, in questo senso, abbozzare paralleli fra le due nazioni. Un altro argomento unificante per l'Inghilterra è la secolare permanenza dell'Istituzione monarchica (è vero che ad un re gli inglesi hanno tagliato la testa ma la cosa accaduta diversi secoli fa, e cioè nel 1649 con Carlo I, mentre dopo di allora la presenza regia divenne sempre di più un elemento di sostanziale pacificazione, al di là di alcune evidenti turbolenze). Quindi è chiaro che la funzione decisiva della "Royal Navy" nella lunga lotta, alla fine vittoriosa, contro Napoleone nasce da strutture e presupposti che non possono essere paragonati con le strutture (e i presupposti) della storia italiana. Quel che volevo dire io, e forse l'ho detto goffamente, è che l'immenso patrimonio dell'Italia medioevale, su su fino al '700, non è stato scalfito se non in maniera occasionale come naturale "deposito" di romanzi storici...Penso ad un narratore popolare di alto livello come Rafael Sabatini che, se ha riservato i suoi motivi di maggior successo al mondo anglico ed a quello francese (si vedano "Captain Blood"e "Scaramouche") ha attinto anche nei suoi romanzi minori all'immenso passato di scontri e di lotte che è poi il riassunto stesso della storia italiana.
Ciò premesso mi pare giusto concludere il discorso riguardante Patrick O'Brian. Come è noto egli, morto nel gennaio del 2000 ci ha lasciato i venti complessi libri dove si narra la straordinaria saga marinara del Comandante Aubrey e del Dottor Maturin, chirurgo e Agente Segreto, e inoltre al momento della morte lasciò l'inizio di quello che sarebbe stato il ventunesimo romanzo della serie e cioè 65 pagine manoscritte ancora senza titolo. Anzi aveva già iniziato a battere a macchina quel che aveva scritto ed a rivedere il testo. Va detto che a leggerlo si prova una profonda tristezza per la scomparsa di un' autore straordinario ed un dolore specifico di fronte alla brusca rottura nel romanzo. L'ultima frase scritta da O'Brian è breve e incompiuta. E' una battuta tronca di un lungo colloquio con un importante ammiraglio, Lord Leyton . Essa dice: "Oh, suvvia, Milord", protestò Stephen, "Ciò che vi dite sembra..."La frase è rimasta incompiuta e tutto ciò che implicava per il futuro di Maturin è purtroppo rimasta nella mente dell'autore. Va detto che quest'ultima edizione dell'opera di O'Brian è particolarmente accurata. Nella versione italiana - “L’ultimo viaggio di Jack Aubrey”, Longanesi 2010 - i capitoli incompiuti occupano da pagina 9 a pagina 66. Successivamente, dopo gli abituali dizionari tecnico navali tipici di tutti i romanzi di O'Brian (e,  se è per questo, anche quelli di Forester centrati sul Capitano Hornblower) il libro contiene un amplissimo studio intitolato "L'impero del Mare" del professore Gastone Breccia. E' uno storico che insegna all'Università di Pavia ed è specializzato in rievocazioni di istituzioni e strutture militari. Qui in particolare egli per ben più di 200 pagine analizza meccanismi fondamentali (battaglia, duello, blocco, la caccia e la scorta, eccetera, della guerra navale fra fine del 1700 e gli inizi del 1800). Un secondo frammento è dedicato a "La Marina di Jack Aubrey" e cioè a "Gli uomini", "Le navi", "Le armi", e "La navigazione", oltre che ad un'ampia bibliografia. In questa seconda parte il lettore troverà una risposta a tutti gli interrogativi che si è posto leggendo i venti volumi della saga Aubrey-Maturin. Vale a dire tutti i temi che O'Brian ha evocato ed ai quali egli stesso ha cercato via via di rispondere: come poteva funzionare così bene una Marina, sempre soggetta alla furbizia politica dell' Ammiragliato ed alla disonestà dei fornitori, che consentì tuttavia all'Inghilterra di tener testa per vent'anni a Napoleone? Viene fuori la divaricazione fra gli ufficiali più numerosi del necessario ed i marinai, sempre in numero insufficiente, reclutati ferocemente con la cosiddetta "leva forzata". Ma balza anche in prima linea l'alto livello professionale dei quadri e la disperata dedizione al proprio dovere che alla lunga animava gli equipaggi e che consentì un vero e proprio capolavoro militare. In un mondo in certo senso feroce ma a modo suo equo dove i bambini di dieci-undici anni venivano avviati a bordo per essere trattati immediatamente come allievi ufficiali, vivendo nell'oscurità e nella promiscuità ma anche nella implacabile funzionalità della "Royal Navy". E' una lettura che ritengo dovrebbe interessare tutti quelli che si sono appassionati alle avventure del Comandante Aubrey e del chirurgo  (nonché Agente Segreto) Maturin.

Faccio presente che intendo rispondere al più presto ad alcuni degli interrogativi posti negli ultimi commenti che mi sono pervenuti.