Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

29 aprile 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Ribadendo un' abitudine che ho preso ormai da molte settimane riporto qui il testo della mia rubrica settimanale sul Corriere Mercantile: questa è apparsa domenica 28/04/13. Confesso che nello scriverla ho provato un certo tremore, perché ero consapevole di correre un duplice rischio: da un lato di sembrare pomposamente senile e dall'altro di risultare esageratamente addolorato. Ma quel che ho scritto, per banale che sia, è una testimonianza autentica di un moto dell'animo (e del cervello) che ho provato e che provo tuttora. Come sempre il giudizio tocca ai lettori.

VISTO CON IL MONOCOLO

L’ITALIA INFLIGGE TROPPI CHOC AD UN VECCHIO GIORNALISTA COME ME

L’anno scorso ad ottobre ho compiuto 83 anni. Sono ormai completamente assestato in quel magico decennio che va dagli 80 ai 90, entro il quale muoiono quasi tutti, quelli che quando la vita era più corta morivano fra i 60 e i 70 anni. E se ripenso alla mia vita fondamentalmente banale mi rendo anche conto che l’Italia mi ha sottoposto a troppi shock. La mattina del 26 luglio 1943 (sono sfollato tra Gavi e Novi) la mamma al mattino mi scuote per un braccio e dice: “svegliati, svegliati, è caduto Mussolini”. La sera dell’8 settembre sempre lei mi dice “è finita la guerra!” ed io, con improvvisa lucidità, rispondo: “non è finita, continuerà e sarà peggio di prima” (ci sono vissuto di rendita per decenni). Il pomeriggio del 14 luglio 1948, dopo la notizia dell’attentato a Togliatti vedo dalle finestre di casa, in Via XX Settembre, una folla immensa comporsi come un gelido fiume di carne: sotto i miei occhi si svolge l’ultimo tentativo di colpo di stato bolscevico (fallito) in Europa. 30 giugno 1960: sto chiuso tutto il giorno nella protetta redazione del Corriere mercantile in Via De Amicis a tradurre dall’inglese una storia a fumetti che riassume le vite di Nixon e di Kennedy da pubblicare nei giorni immediatamente precedenti le elezioni americane del novembre. Torna Manlio Fantini, sconvolto: ha passato tutto il pomeriggio in Via XX Settembre, gli scontri per l’annunciato Congresso M.S.I. sono stati così ampi e violenti che porteranno il 19 luglio alla caduta del Governo Tambroni. E io non mi sono accorto di niente. Dalla fine di quel decennio sino agli inizi degli anni’80 l’Italia attraverserà il più terribile momento di terrorismo collettivo che l’Europa abbia conosciuto. Anche qui l’ho attraversato passivamente, in fondo senza rendermi conto di nulla, occupato com’ero a comprare film e ad individuare Beautiful per sostituire Capitol. Ai giorni nostri provo l’ultima emozione: vedere un Papa a cui se ne affianca un altro, vivi entrambi, ed un vecchio Presidente che viene rieletto con amorosa disperazione. Otto Papi ho visto in vita mia: da Pio XI (che mi ha dato un colpetto sulla testa) sino a Francesco I, a cui non riesco proprio ad abituarmi, con un grande rimpianto per la cauta e timida eleganza di Benedetto XVI. Troppi shock ho ricevuto dall’ Italia ed io sono stanco, proprio stanco.

(Battute 2328)



22 aprile 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Sta diventando un'abitudine, e pertanto anche questa volta riporto qui il testo della mia rubrica "Visto con il Monocolo" apparso domenica 21 Aprile nel Corriere Mercantile. Ancora per qualche tempo non potrò occuparmi molto del Blog, a causa di tre impegni che tuttora mi preoccupano. E cioè la redazione definitiva di due libri diversi e la preparazione di un ciclo di mie presentazioni in video per la rete Class TV (darò più precisazioni al momento opportuno). Come sempre riporto in testa al brano il titolo definitivo con cui è apparso sul giornale, e in coda quello posto da me originariamente all'inizio del brano (come vedete l'intento è lo stesso, ma uno dei titoli è più breve e l'altro è più lungo).

VISTO CON IL MONOCOLO

UN PO' MARADONA E UN PO' BORGES...

Mentre scrivo sono in corso due processi diversi. Da un lato l’involuzione quasi totale della Repubblica italiana alle prese con le trappole infinite di una difficilissima elezione presidenziale. Ma quando mi leggerà il lettore, forse il problema sarà già risolto o avrà acquistato altre dimensioni. L’altro processo, sempre in evoluzione, è invece quello che riguarda la progressiva presa di potere di Papa Francesco I (la numerazione è abitualmente trascurata ma gli spetta di diritto). 80.000 spettatori in piazza San Pietro durante i giorni feriali e 150.000 per l’Angelus domenicale sono ormai una vetta popolare conquistata senza fatica dal pontefice argentino. Che continua ad imporsi per l’amore subitaneo che gli ha tributato la gente e per il modo di vivere furbescamente semplificato e allegramente articolato (si veda il duplice scambio di zucchetti bianchi con la folla). Ma a volte penso che, da europei, abbiamo trascurato un elemento di base per valutare il suo modo di vedere il mondo e di inserirsi nella società. Anche se di recente origine astigiana (o i genitori o i nonni) egli è pur sempre argentino, vale a dire cittadino di un paese alimentato dall’immigrazione italiana e spagnola ma al tempo stesso orgogliosamente autoctono nello sfrenato orgoglio nazionalistico. Di cui è un tipico prodotto il cosiddetto peronismo, vale a dire quella apparentemente contraddittoria mescolanza di stimoli destra e di sinistra, che in Europa non siamo mai riusciti a capire completamente e che credo sia rimasta profondamente confitta nelle vene della nazione, nonostante Peron e la moglie siano morti da anni. Ho trovato su questo tema un bellissimo aneddoto. Un giornalista britannico intervistava Peron sulle tendenze politiche degli argentini e questo rispose: “…Abbiamo un 30% di socialisti, un 20% di conservatori, un 30% di radicali…” “Ma i peronisti?” Lo interruppe il giornalista: “…Ma no, peronisti lo sono tutti quanti” rispose Peron. Mi chiedo se nella tenue mescolanza di elementi tradizionali e di elementi innovatori tipica di questo Papa, non agisca una forma di insolita convivenza che è proprio frutto del suo essere argentino (un po’ Maradona, un po’Borges).

(titolo originale: TUTTI GLI ARGENTINI SONO UN PO' MARADONA E UN PO' BORGES)




15 aprile 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come al solito, e quindi come quasi ogni lunedì, riporto qui il testo della mia rubrica "Visto con il monocolo" apparso sul Corriere Mercantile di domenica 14 aprile. Non penso che sia particolarmente bello ma indubbiamente implica la necessità, per poter avere il taglio prescelto, che chi scrive sia genovese. Il che in astratto riduce di molto il numero degli autori potenziali presenti sulla piazza.
Spero che i miei lavori in corso terminino presto e che io possa di nuovo disporre di tempo da dedicare al Blog.
Molti cordiali saluti a tutti.

VISTO CON IL MONOCOLO

IL GUSTO BIPOLARE DELLA COMICITA' GENOVESE

Sono sempre stato persuaso che esista, nell’eredità genetica ligure, una vocazione all’humor che non ha paralleli in Italia. Si pensi ad un personaggio fatidico come Govi (genovesissimo anche se di famiglia emiliana), molto più vicino nella mimica e nella vocazione grottesca ad un comico francese come Raimu che ad uno dei tanti attori romani e napoletani della tradizione italiana. E’ stata ora annunciata una collana di dieci DVD per raccogliere le parodie e le imitazioni più famose di Crozza (innumerevoli: dalla B di Bersani alla Z di Zichichi). Ho sempre desiderato di inserirlo in una delle numerose telefonate a personaggi vari (da Giulio Anselmi a Minoli, da Pupi Avati a Folco Quilici ad Aldo Grasso e via citando) che ho posto nel mio Blog “Clandestino in Galleria”. Ma ho sempre rinunciato a provarci, ammaestrato anche dalle parole affettuose di sua moglie Carla Signoris (anch’essa registrata nel Blog). Maurizio in genere non concede interviste (ma lo ha fatto con Gian Antonio Stella) e io non ci ho provato, anche se con me è sempre stato gentilissimo e amichevole (si può essere amici anche fra genoani e sampdoriani). Ma resta nel fondo una grande realtà italiana contemporanea: la nostra mitologia fantastica è dominata da due genovesi che entrambi hanno battuto le vie dell’humor, per approdare poi a sfondi e cammini completamente diversi. Appunto: da un lato Crozza e dall’altro Beppe Grillo. E’ innegabile che in entrambi la vocazione alla divagazione ironica sia poi esplosa, dopo un periodo di esperienze similari (più accademiche quelle del primo, più cabarettistiche quelle del secondo) in dimensioni totalmente diverse ma ciascuna a modo loro egualmente esplosive. Quel che è sicuro è che in entrambi fermenta una tradizione comico-satirica molto nostrana e regionale (si pensi alle invenzioni para-francesi di un ligure ponentino come Dapporto). Non so a quali conclusioni possano portare entrambi (quelle di Grillo sono sicuramente più esplosive e potenzialmente più pericolose, quelle di Crozza a modo loro egualmente demolitorie). Ma è certo che tutti e due (non lo scrivo per patriottismo cittadino) sono entrambi italianissimi ma in certo modo estranei all’Italia.

9 aprile 2013

L' OSSERVATORE GENOVESE


Come ogni settimana pubblico qui il testo della mia rubrica domenicale "Visto con il monocolo". Tuttavia,  invece che sul Corriere Mercantile di domenica 7 aprile, è stato pubblicato, per problemi di impaginazione e di spazio, il lunedì successivo 8 aprile,  nell'edizione che porta tradizionalmente il titolo di Gazzetta del Lunedì.

VISTO CON IL MONOCOLO 

QUEL MILANESE “INTERNAZIONALE”.

In un panorama sinistrato di viventi si direbbe che l’anima segreta dell’Italia si riveli in presenza solo di alcuni grandi funerali. Penso a quello di Roma per Alberto Sordi (rinnovato adesso per Califano), di Torino per Gianni Agnelli e quello, del 2 Aprile, di Milano per Jannacci. Malgrado la mia quasi totale ignoranza musicale posso scrivere qualcosa di Jannacci, che è stato il cantautore da me più amato, evidentemente dopo quello che mi è sempre stato nel cuore, e cioè Georges Brassens. Jannacci (aveva 6 anni meno di me, c’è una logica nei miei ricordi) l’ho visto crescere ed imporsi come interprete di una Milano proletaria e piccolo borghese, ed al tempo stesso crocevia di mode determinanti per tutta un’Italia, che non esiste più. Non solo nei riferimenti di case e strade presumibilmente mutate o scomparse, ma anche in quelli che prendevano le mosse da un’umanità stralunata e divertita. Fitta di personaggi divertenti e divertiti che andavano da Cochi e Renato sino ai grandi jazzisti, stile Livio Cerri, ai fantasisti musicali, tipo i quattro “Gufi” ed ai grandi protagonisti solitari come Giorgio Gaber. Fra tutti forse il più geniale e il più intensamente milanese era proprio Jannacci, nipote di un immigrato pugliese, che riuscì sia a diplomarsi al Conservatorio che a diventare cardiologo (sembra fosse molto bravo). E che soprattutto alimentava in sé un vigoroso empito poetico, capace di attingere splendidamente all’ultima generazione di milanesi che parlava ancora in dialetto. Confesso che quello fu lo Jannacci che preferii istintivamente. Di alcune sue canzoni, raffinate e falsamente semplici, ricordo ancora, io genovese, minutamente le parole milanesi. Ce ne è una che è un piccolo capolavoro e che comincia così: “Quel che sunt drè a cuntav l'è ona storia vera/de vün che l'era mai stà bon de dì de no./E s'eren conussü visin alla Breda/le l'era de Rogored e lü el su no. Un dì lu l'aver portada a vedè la fera/la gh'aveva un vestidin color de tra-sü/disse vorrei un kraffen oh... non ho moneta/Pronti, el g'haa dà des chili e l'ha vista pü.”
Poi Jannacci ha continuato a scrivere canzoni sempre più in italiano, ed io l’ho abbandonato. Ma era un piccolo genio.(Titolo originale:"Il milanese internazionale di Enzo Jannacci").

2 aprile 2013

L'OSSERVATORE GENOVESE

Come ogni settimana pubblico qui il testo della mia rubrica domenicale sul Corriere Mercantile. E in particolare quella di domenica  (31 Marzo). Gli attenti lettori potranno constatare che, prendendo le mosse dalla presentazione di un libro su Furio Scarpelli, che ha avuto luogo venerdì scorso alla Feltrinelli di Genova (come da me preannunciato nel Blog) mi sono lasciato andare ad un piccolo elzeviro, dedicato appunto al ricordo dello stesso Scarpelli e del suo ottimo complice Age. In qualche modo ho dato vita ad una duplice evocazione sullo stesso tema, ma mi è parso doveroso.
Ecco dunque il pezzo apparso sul Mercantile. Il titolo originale era: "L’AFFASCINANTE ITALIA DI TOTO’ E DEI QUATTRO MOSCHETTIERI"


VISTO CON IL MONOCOLO

L'ITALIA DI TOTO' E DEI MOSCHETTIERI

Venerdì scorso ho presentato alla Feltrinelli (insieme a due dei tre autori, Accardo e Govoni) un libro de Le Mani intitolato “Furio Scarpelli-Il cinema viene dopo”. Per ragioni di salute io esco di rado ma questo mio gesto mi è parso doveroso, in ricordo di un mio momento professionale che rivendico (non è il solo). Nel 1977 costruii su Rai Uno un grande ciclo del lunedì sera-allora era la determinante collocazione per il film serale di Rai Uno- in omaggio a quello che resta la più grande coppia di sceneggiatori del nostro cinema, e cioè Age e (appunto) Scarpelli. I due scrittori (usiamo la parola che si meritano) erano nati entrambi nel 1919 e morirono in epoca relativamente recente: Age nel 2005 e Scarpelli nel 2010. Ebbero nel corso di una lunga carriera (Scarpelli da solo la proseguì praticamente sino ai giorni nostri) più di trent’anni di lavoro in comune durante i quali contribuirono ad una larga parte del miglior cinema italiano: quello più raffinato e al tempo stesso più popolare (si va da Totò ad alcuni dei migliori film di Risi, Monicelli, Scola, Germi, Leone e compagnia cantante). Non è un caso che insieme ad un'altra grandissima coppia di scrittori italiani, Fruttero e Lucentini, essi sceneggiarono il film tratto da “La donna della domenica”, opera appunto degli ultimi due. Ancora una volta, presentando il libro e parlando a lungo del cinema d’epoca e di un’epoca, mi son chiesto perché qualche decennio fa i nostri film (d’accordo, in un mercato totalmente diverso) siano riusciti, spesso con splendida malizia, a restituire un ritratto dell’Italia di allora che il cinema di oggi non riesce se non larvatamente a replicare. Domanda che riguarda non solo i registi ma anche gli attori: di fronte ad un geniale (ma quasi senile) Toni Servillo si pensi alla batteria di interpreti, donne e uomini, che sfornò l’Italia del tempo. Capeggiata da quattro moschettieri (Gasman, Manfredi, Sordi, Tognazzi) scomparsi senza lasciare eredi. 
Che cosa è successo in Italia? Non è solo un problema di scarsezza di sale e di concorrenza televisiva. Ma probabilmente di una di quelle mutazioni profonde che nel corso dei secoli incidono sulla forma e sulla sostanza delle nazioni.