Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

29 agosto 2012

A DOMANDA RISPONDE



Rispondo qui ad alcuni dei post giunti dopo la pubblicazione dell’ “Erba Foglio”. Andiamo nell’ordine:

1) Ringrazio Rita M. per la sua fedeltà al Blog.
2) Grazie a PuroNanoVergine per il suo (abituale) contributo. D’ora in avanti, in casi del genere, userò sempre la “richiesta di risposta obbligata”, che in questo caso mi è parso scortese utilizzare. 
3) Non avevo dubbi su un intervento di Rosellina Mariani. E’ vero, ho 82 anni, ma ancora per poco perché il 17 di ottobre saranno 83 (faccio presente che è da Roma in giù che il 17 porta sfortuna, nell’Italia del nord, come ad esempio in Francia e negli Stati Uniti questa utile funzione è svolta dal numero 13).
4) 5) Grazie ad Ivana per il duplice intervento, ma, adesso come adesso non ho voglia di sondare nessuno.
5) Bis ) Grazie al Principe Myskin e ai suoi Ultramondi Empirei in Seduta Perenne e Assistenti al Soglio. Ho molto apprezzato le maiuscole.
6) Devo una risposta a Giulio Fedeli, ma il suo intervento è così ampio che ho bisogno di qualche minuto per rispondere. Provvederò nei prossimi giorni.

Molti saluti a tutti.

21 agosto 2012

CONTRADDITTORIE REAZIONI DI FRONTE ALL’”ERBA FOGLIO”


Semi dolorosa confessione autobiografica in presenza di un tentativo di collaborazione fallito prima di iniziare. Sarei grato di conoscere le impressioni dei lettori ma, vi prego, siate severi ma non crudeli!


Fra le diverse pubblicazioni che leggo con una certa regolarità c’è anche “Il foglio” di Giuliano Ferrara. Soprattutto per l’edizione del sabato, di cui è responsabile Giuseppe Sottile, e che mi ha sempre interessato per la scelta di dedicare ad un argomento dato una pagina intera (o anche due, se necessario) e, soprattutto, per la scelta degli argomenti stessi. Faccio un riferimento duplice. Attingerò, si badi bene, a brani pubblicati circa un mese dopo aver scritto, pressapoco agli inizi di luglio, l'e-mail (con allegati) di cui faccio cenno più sotto. Ecco, dunque, qualche esempio di articoli recenti che ho trovato stimolanti.  Nel numero di sabato 11 agosto in prima pagina c’era un interessante scritto di Paolo Rodari intitolato: “Lo spirito delle suore di St.Louis”. Vale a dire un ritratto della potenziale “rivolta” delle superiore dei principali ordini di suore  esistenti negli Stati Uniti. A pagina III un brano altrettanto interessante, intitolato “Addio alla carta?” centrato sul progressivo abbandono dei lettori (di quelli più giovani, credo) dei giornali appunto scritti su carta, per scegliere via via quelli su internet (mi ricordo quando il proprietario di uno dei più importanti quotidiani del mondo, il “New York Times”, annunciò, fra lo sbalordimento generale, che il suo stesso giornale di li ad una decina di anni sarebbe praticamente scomparso). Infine a pagina IX ecco un articolo di Matteo Marchesini che rievoca, ancora a piena pagina, la figura di Arrigo Cajumi “intellettuale scettico ed epicureo” sotto il titolo “Un limone sott’aceto”. Da ragazzo ho letto molte volte, con una reazione che andava dall’interesse allo sbalordimento, i “Pensieri di un libertino”, pubblicato da Longanesi nel 1947. Molte allusioni e molti riferimenti, spesso radicati in quella Francia del 7/800 che per Cajumi era la patria ideale, mi sfuggivano per colpa della mia cultura incompleta (è restata tale). Ma certamente rimasi affascinato dalla complessità dei rimandi letterari e dalla polemica rivendicazione di un patriottismo “emiliano-piemontese”, allora abbastanza incongruo nelle patrie lettere. Nell’articolo di Marchesini ho pescato un sacco di notazioni interessanti ed ho anche appreso che il letteratissimo, raffinatissimo e snobbissimo Cajumi era poi diplomato in ragioneria (come, credo, Montale).
Queste annotazioni, riguardano, come ho scritto prima, il numero del sabato 11/08/2012. In quelle del sabato successivo, 18 agosto, ho letto con interesse “Colorado di blu o di rosso” un articolo di Andrea Mancia e Cristina Missiroli che, viene annunciato come la prima di una serie di ricognizioni negli Stati decisivi della campagna presidenziale americana. Il titolo riguarda infatti lo Stato del Colorado e analizza le possibilità di vittoria che vi avranno democratici e repubblicani alle prossime elezioni americane. Un altro articolo molto interessante, a pagina III, è “Damnatio Lukács” ancora di Matteo Marchesini, dedicato a quel György Lukács, intelligente e spietato intellettuale marxista che fu, se ricordo bene, citato a spada tratta dal Guido Aristarco di “Cinema Nuovo” (una rivista che nel dopoguerra affascinò per anni molti cinefili, ma non me, e fu tuttavia l’incubatrice di molti critici di vaglia, dal raffinatissimo Guido Fink al combattivo Adelio Ferrero, via via che si liberarono dall’ipoteca aristarchiana). Altro articolo interessante a pagina IV: “La Pomigliano di Francia”, ove Stefano Cingolani analizza i primi, faticati, mesi di carica di François Hollande (tanto amato dalla sinistra italiana quanto è stato odiato “Sarkò”) e in particolare i problemi che nascono dai licenziamenti annunciati da Air France e da Alcatel-Lucent e, ancor più, da Thierry Peugeot, il quale ha preannunciato il taglio di ottomila posti di lavoro e l’imminente chiusura di una fabbrica situata a Aulnay-sous-Bois, vicino a Parigi, dove il 62,5% degli elettori ha votato per Hollande. Mi è parso altrettanto interessante, anche se il personaggio ritratto non mi ha mai stimolato molto, “Wunderkind” di Andrea Affaticati, dedicata a rievocare la figura di Rainer Werner Fassbinder (1946-1982) tempestoso regista tedesco a cui di recente Jürgen Trimborn ha consacrato, proprio nel 30° anniversario della morte, una biografia intitolata “Ein Tag ist ein Jahr, ist ein Leben” (ovvero “Un giorno è un anno, è una vita”, da una frase dello stesso Fassbinder). Come si vede la scelta degli argomenti è abbastanza ampia e articolata, esplicitamente intesa a ricreare, più dell’edizione quotidiana del “Foglio”, sapore e gusto di un supplemento letterario ampiamente atteggiato. 
Per farla breve ho finito col dar retta ad alcuni cauti suggerimenti di Lorenzo Doretti, il quale sosteneva che, secondo lui, le mie capacità di scrittura e di invenzione erano adatte al supplemento del sabato e che pertanto mi conveniva fare una cosa che, in genere, alla mia età faccio mal volentieri. E cioè offrirmi come collaboratore. E’ quello che, alla fine, ho fatto (la decisione mia, il povero Lorenzo non c’entra niente!). Ho inviato per e-mail a Giuliano Ferrara e Giuseppe Sottile una lettera (lo riconosco: troppo lunga  e troppo pomposa) in cui appunto prospettavo l’eventualità di scrivere sul “Foglio” del sabato. Facevo presente che non mi offrivo per quel che riguardava il cinema, argomento che è già trattato severamente da Mariarosa Mancuso, ma, potenzialmente, per argomenti vari. E per togliere a Ferrara e Sottile la noia di andarsi a ricercare dei miei brani nel Blog ho allegato alla mia e-mail la riproduzione di 17 pezzi a suo tempo pubblicati in “Clandestino in Galleria”.
Non mi risulta che l’e-mail sia stata respinta, e quindi presumo che sia giunta a buon fine. Mi rendo conto che non potevo e non posso avanzare nessun diritto ma continuo a credere che alla mia età (a ottobre, se ci arrivo, avrò 83 anni) e dopo tanti anni di mestiere, due righe, anche secche, di risposta negativa me le sono guadagnate. Invece non mi è arrivato niente. Il che mi fa pensare che ho compiuto un duplice errore. Quello di essermi offerto, cosa che ormai faccio raramente, e quello di aver allegato un numero impressionante di pezzi, così da spaventare potenzialmente l’eventuale lettore. Adesso completo l’opera raccontando l’accaduto nel Blog, sperando di non attirarmi compatimenti e/o ironie. Ad uso degli eventuali lettori ripropongo qui l’elenco dei pezzi che avevo comunque inviato, e quello dei pezzi che non inviavo ma di cui citavo la data di pubblicazione nel Blog ed il tema. Forse così facendo esagero e divento ancora più noioso ma mi permetto di sottoporre ai lettori i due elenchi (i brani allegati e quelli citati) per vedere se faccio addormentare anche loro. Mi sono imposto di esternare questa piccola umiliazione giusto per conservare  quel sapore di zoppicante autobiografia che il Blog rivendica sin dall’ inizio.

A) BRANI INVIATI
I necrologi e la vita;
Il dirupo di Di Rupo;
Sempre morte a Montecitorio;
Cavour era italiano?;
La geniale e fragile etnologia di Gianni Brera;
C’è Berlusconi al telefono;
In the name of Sabatini;
Due moment della Resistenza Francese;
Camera Eye: i dimenticati piloti neri;
Camera Eye: Il Trio Melting Pot;
Camera Eye: L’eterogenesi del Fini;
Genova, una ex-città tutta da scoprire;
Prima puntata su Schoendoerffer;
Adieu, Sarko!;
Il Bianco perde il banco;
Terremoti di oggi ma anche del passato: un’Italia rassegnata, e indifferente anche al ricordo               meritevole di Zamberletti;
La misteriosa lezione universale dei defunti che scaturisce dalle pagine dei necrologi nei giornali       quotidiani.

B) BRANI CITATI
•18 GENNAIO 2012
BISCAGLINA NON ALLA BASCA MA ALLA GENOVESE
•23 NOVEMBRE 2011
ATTRAVERSO "IL FOGLIO" RIFLESSIONI VARIE SU SARKOZY E DE GAULLE
•21 SETTEMBRE 2011
A FIOR DI PELLE E A FIOR DI LIBIA
•18 LUGLIO 2011
TREMONTI CRITICO LETTERARIO
UN INATTESO RIFERIMENTO A DUE ROMANZI DI GEORGES SIMENON ALLIETA LA VITA POLITICA ITALIANA
•10 DICEMBRE 2010
CONSIDERAZIONI (TEMPORANEE)   SU WIKILEAKS
•21 OTTOBRE 2010
DON MARIO E SIR ROGER
•07 OTTOBRE 2010
Un presente sempre più veloce e sempre più triste
•17 SETTEMBRE 2010
La triste apparizione di Emanuele Filiberto
•08 SETTEMBRE 2010
LE RAGIONI DEL SUD E LE RAGIONI DEL NORD
•20 AGOSTO 2010
LA MIA FEDELTA' A CAVOUR
•12 LUGLIO 2010
VITTORIO EMANUELE III, LE LEGGI RAZZIALI E GALEAZZO CIANO
•02 LUGLIO 2010
RAI VECCHIA E NUOVA
•28 APRILE 2010
Chi non legge in compagnia o è un ladro o è una spia
•04 MARZO 2010
Luciana Frassati, testimone sconosciuta
•29 GENNAIO 2010
Nella Svizzera francese sottovalutano la 'Ndrangheta
•07 GENNAIO 2010
LA SOLITUDINE DEL GIORNALISTA DI FONDO
•25 GIUGNO 2009
La disponibile genialità di Alain Resnais
•12 GIUGNO 2009
ANGELA, NON SEMPRE ANGELICA
•01 GIUGNO 2009
Monicelli Uno e Due
•18 MAGGIO 2009
In nome del “Peuple” italiano
•04 MAGGIO 2009
Marchionne e la nobiltà
•27 APRILE 2009
Wajda, genio polacco
•27 MARZO 2009
Lettera (semi) aperta a Paolo Garimberti
•13 MARZO 2009
Prove di funzionamento del sottogoverno
•02 MARZO 2009
Obama, Semper Fi!
•19 FEBBRAIO 2009
Morire per un'altra Germania
Operazione Valchiria
•11 FEBBRAIO 2009
Misteriosa e inspiegabile Margherita
•30 LUGLIO 2008
IL SORRISO DEL GRANDE TENTATORE

20 agosto 2012

A DOMANDA RISPONDE



Tentativo, forse non completamento riuscito, di determinare la vera durata integrale di "Era notte a Roma" di Roberto Rossellini, che avevo rievocato nel mio "Salvate la Tigre" pubblicato nel Blog il 17 agosto.


Faccio qui riferimento ai tre post che ho ricevuto dopo aver pubblicato “Anche nel Blog si salva la Tigre”.
Andiamo nell’ordine: ringrazio Simone Starace per le informazioni che mi da su “Era notte a Roma” (produzione: 1960). Non sapevo che ne esistessero addirittura quattro diverse edizioni da 158, 143, 137 e 123 minuti. Io mi ricordo di questo. Quando il film venne acquistato dalla Rai, presumibilmente in un “pacchetto”, mi accorsi dei profondi e dannosi mutamenti che erano stati inflitti alla copia originale. E me ne accorsi, perché, evidentemente o avevo visto il film completo in una proiezione privata o l’avevo visto in una sala pubblica ma, almeno inizialmente, in una edizione integrale. Pertanto me lo ricordavo nella versione più logica, con gli interventi (sottotitolati in italiano) in inglese e in russo degli ex prigionieri fuggiaschi (una lingua era quella di Leo Genn  e Peter Baldwin, l’altra  di Sergei Bondarĉuk). E, ancor più, con il bellissimo episodio ambientato nel palazzo dei Principi Antoniani, dove Genn e Baldwin, su invito dei padroni di casa,  si rifugiano e, anzi, il primo, ad un certo momento, riesce a farsi passare per un impeccabile maggiordomo. Paradossalmente, per abbreviare la pellicola, l’intero episodio era stato tagliato. Si tratta di un film che avevo seguito con particolare interesse, sia per il tema “storiografico” di fondo, sia perché era di Rossellini, sia perché i quattro che avevano messo mano alla sceneggiatura - Amidei, Brunello Rondi, Fabbri e lo stesso Rossellini- conoscevano perfettamente l’epoca e la città di Roma. C’era anche un quarto motivo per tenere d’occhio il film: un fatto ben conosciuto nell’ambiente. E cioè che interessato alla produzione era un membro di una famiglia, notissima a Genova, per i negozi di pasticceria e cioccolateria, i Romanengo, tanto è vero che mi era stato facile definire il film “Era notte a Romanengo”.
In ogni caso mi ricordavo esattamente la stesura originale e intervenni decisamente per ristabilire lo “status quo”. Chi conosce il film sa che l’episodio prima ricordato, ambientato in un palazzo di Principi romani, gli Antoniani, si avvale di alcune presenze straordinarie: quella di Paola Stoppa (1906-1988), il principe padrone di casa, che presta servizio in Vaticano come gentiluomo d’onore alla corte di Pio XII. Quella dell’eccellente Hannes Messemer (1924-1991), che è qui un altolocato colonnello tedesco il quale frequenta la casa degli Antoniani da eguale a eguale. E infine quella di una americana, in un certo senso misteriosa, di cui non sono riuscito ad identificare l’identità. Nonostante abbia interpellato in proposito uno dei massimi schedatori italiani, Enrico Lancia, il quale a suo tempo ha fatto una ricerca sugli attori dei film di Rossellini. Egli mi ha confermato che rimane una donna sconosciuta, forse una dipendente dell’Ambasciata americana amica di Rossellini. Disegna con notevole talento una figuretta che sembra tolta di peso da un elzeviro di Curzio Malaparte. E’ visibilmente una di quelle signorine di buona famiglia provenienti dagli Stati Uniti che, nella parte iniziale del XX secolo erano venute a Roma in visita culturale ed avevano finito con lo sposare esponenti della nobiltà capitolina. Nei salotti degli Antoniani la signora (forse la mamma del principe, forse la suocera) è autorevole ma politicamente inaspettata e “scorretta”. Americanissima è, tuttavia, apertamente fascista e con il giovane prigioniero americano se la prende con Roosevelt, il quale ha usato fare la guerra a Mussolini. È un guizzo di sceneggiatura di alto livello e di compiaciuta furbizia, che probabilmente rischia di essere trascurato da molti spettatori.
Francamente io non so orizzontarmi nelle quattro versioni citate da Starace e non mi ricordo più in che anno avvenne l’opera di “Restitutio” da me operata. Non riesco più ad orientarmi fra le varie possibilità che egli annovera. Sembra anche a me, per un minimo di manicatura nelle misurazioni di film che mi è rimasta dopo tanti anni che la versione di Starace sia la più attendibile e cioè che la versione definitiva corrisponda a 143’ complessivi, cioè ad una cifra vicina a quel 123’ + 18’ = 141’, che lo stesso lettore evoca.
Ringrazio anche un’altra fedelissima, Rita M., che mi ribadisce di leggere con molto piacere le cronache dei miei “salvataggi”. E infine, la fedelissima per eccellenza, Rosellina Mariani, che ribadisce  la sua attenzione per chi salva le tigri ...


17 agosto 2012

ANCHE NEL BLOG SI SALVA LA TIGRE


L’anno scorso Aldo Fittante, direttore del noto settimanale FilmTv, mi invitò ad allestire una mia rubrichetta mensile a carattere retrospettivo. Gli proposi di cercare di ricordare qualcuna delle operazioni di “recupero” e di “innovazione di mercato”, che avevo operato nel campo del cinema durante i miei 24 anni di Rai. Mi suggerì il titolo, “Salvate la tigre”, che, come molti ricorderanno, è un film del 1973 diretto John G. Avildsen con una grande interpretazione di quello splendido attore che fu Jack Lemmon (1925-2001). Il titolo mi piacque e varammo la rubrica, che da allora va in onda regolarmente (con qualche possibile ritardo) il primo martedì del mese. Concordammo con il direttore una durata di 1.800 battute al pezzo (come è noto i computer vi calcolano immediatamente le battute di uno scritto, con gli spazi e, volendo, anche senza gli spazi). Ho lasciato, anche in questa riproduzione del testo, l’indicazione del numero delle battute. E’ una ovvia civetteria professionale di chi, grazie a decenni e decenni di professione, riesce a calcolare gli spazi quasi al millimetro, riducendo, per scrupolo, di qualche battuta il conto complessivo.
Ho avuto ora da Fittante l’autorizzazione a pubblicare nel Blog alcune puntate di “Salvate la tigre”, naturalmente in ordine di tempo. Provvedo adesso a farlo con le tre puntate iniziali, apparse a cominciare dai primi di novembre 2011. E via via riporterò le altre, lasciando passare un discreto periodo di tempo da una pubblicazione all’ altra.
Vorrei ricordare che nella prima puntata della rubrica, come potrete controllare qui sotto, sono ripresi gli stessi dati sull’origine del titolo e dei testi di cui si fa cenno anche all’inizio della presente introduzione. Ma da un lato è apparso inevitabile per non iniziare in modo oscuro la pubblicazione di questo pezzo. Dall’altro conservare la prima puntata nella sua interezza era un obbligo non rinunciabile. Come si vede la misurazione riguarda il testo propriamente detto mentre la breve introduzione in corsivo è misurata a parte.
Mi auguro che questa pubblicazione interessi ai lettori, pur nella sua sostanziale modestia. Ho pensato, soprattutto, ai cinefili che mi scrivono. Amanti, come amò dire Pietrino Bianchi, della “chose cinématographique”. Se qualcuno vuol scrivermi la sua impressione (spero non troppo negativa) gliene sarò grato.

Faccio presente ai lettori che la rivista costa 1 euro e 80 centesimi. La redazione di FilmTv è situata in via Settala, n.2, 20124 Milano. Il telefono è 02/36.53.78.00. Il fax è 02/36.53.78.14. Infine l’e-mail è: segreteria@film.tv.it . La rivista è distribuita da Parrini&C ed è trovabile in tutte le edicole.

Ecco le prime tre rubriche, così come sono state pubblicate. 

1) Salvate la Tigre

Il titolo è un utile suggerimento di Aldo Fittante, che rievoca il film di John G. Avildsen ( 1973) ed è implicitamente un omaggio al grande Jack Lemmon. Nella rubrica  cerco di recuperare tutti i titoli che, grazie all’opera intensa in 24 anni di Rai, sono riuscito ad immettere nel mercato italiano (se non altro in quello televisivo) oppure, in caso di mutilazioni, a restituire “in integrum”. Fu una felice alternativa all’oscuro, continuo e asfissiante lavoro di programmazione quotidiana.

( battute: 494)

Alla fine degli anni Settanta, a Rai Uno, mi ero messo in testa di recuperare per la televisione i più interessanti film inediti interpretati, dal 1929 al 1938, dai fratelli Marx. In particolare “The Cocoanuts”, “Animal Crackers”, “Monkey Business”, “Horse Feathers” e “Duck Soap”. Tutti rimasti allora inediti per diversi motivi, fra cui, quello tardivo ma decisivo, e cioè la proibizione di importarli, emanata nel 1939. Cominciai attraverso l’ efficiente Ufficio Acquisti di Rai Uno una complessa battaglia legale per ottenere i diritti dei film. E ci riuscì solo per uno di essi (non ricordo più quali erano i complessi problemi che impedirono gli acquisti degli altri; ma nel cinema i problemi di diritti sono sempre complessi e a volte inesplicabili). In compenso il film che riuscii a strappare agli aventi diritto (credo fosse la Paramount) era forse il migliore di tutti: ”Duck Soap” del 1933. Per il doppiaggio (mi fu sempre interdetto l’uso dei sottotitoli) l’adattamento, per fortuna, fu affidato a Oreste Lionello, di cui divenni poi ottimo amico al Festival del Doppiaggio “Voci nell’ombra” di cui sono dalla fondazione direttore artistico. Oreste era un uomo geniale - e non soltanto il furbetto del Bagaglino – che aveva un talento creativo come adattatore – inventore (lo ha dimostrato ampiamente con Woody Allen). Uno dei più qualificati per cercare di risolvere in italiano i complicati e spesso folli giuochi di parole tipici del dialogo dei fratelli Marx. Per mio conto completai la mia opera inventando il titolo italiano del film, appunto “La guerra lampo dei fratelli Marx” in cui riuscii ad accoppiare l’idea del “Blitzkrieg” con il nome “in ditta” dei protagonisti che era un decisivo marchio di fabbrica. L’idea fu fortunata ma nessuno me ne ha mai riconosciuto il merito.

(Battute: 1.799)

Claudio G. Fava.

2) Salvate la Tigre 

Nel 1960 apparve un film di Rossellini (anche sceneggiatore con Amidei, Fabbri e Brunello Rondi) che da molti è considerato secondario, “Era notte a Roma”. Qualche anno dopo, il titolo approdò a Rai Uno. Mi accorsi con mio stupore che era stato scorciato di un intero episodio. Inoltre il doppiaggio rivelava  una sorta di follia tutta nostrana. Al centro del film tre ufficiali ormai ex-nemici, un inglese (Leo Genn), un americano (Peter Baldwin) e un russo (l’allora famoso regista Sergei Bondarčuk) che, dopo l’8 settembre fuggono insieme da un collettivo campo italiano di prigionia (ipotesi storicamente poco probabile). Si fidano di una falsa suora (Giovanna Ralli), in realtà una “borsanerista”,  grazie alla quale giungono a Roma, protetti da un gruppo di resistenti, tra cui Enrico Maria Salerno e Renato Salvatori. Alla fine dopo molte peripezie, vengono ospitati e salvati dai padroni di casa in un palazzo principesco romano. Dei fuggiaschi, due parlavano fra di loro in inglese e il terzo russo con tutti, e naturalmente nessuno li capiva. In parte il dialogo originale era stato conservato, senza sottotitoli, e a tratti doppiato in italiano, per cui ne nasceva una totale incongruenza di rapporti e di reazioni, e i tre sembravano vagamente deficienti. Inoltre l’episodio dei principi, a mio parere il più bello di tutti con uno splendido Paolo Stoppa (c’era anche una suocera americana e fascista, che attacca Roosevelt), era stato, come ho detto, tolto di peso. Lo recuperai, sottotitolai tutto quanto era necessario sottotitolare, e riuscii a mettere in onda un film che ho sempre molto amato. Anche il Morandini annota che l’edizione Tv è più lunga di 18’ ma (non l’ho mai detto a Morando, che non poteva saperlo da altra fonte) ancora una volta, nessuno riconosce i miei meriti!

(Battute: 1.798)

Claudio G. Fava

3) Salvate la Tigre

Un recupero, minimo ma che ho sempre rivendicato, è quello che operai su un film di René Clement di cui pochi si ricordano: “Il giorno e l’ora” (Le jour et l’heure, 1963) ambientato, come molti del regista, durante la Seconda Guerra Mondiale. La cosa accadde, presumo, quando ero ancora a Rai Uno dove mi occupavo solo di film ed avevo quindi molto più tempo per singoli interventi. Il racconto riguarda un pilota americano (Stuart Whitman) abbattuto durante un bombardamento e salvato da un gruppo di partigiani francesi. Il loro capo (Michel Piccoli, ancora confinato in parti secondarie) non sapendo come proteggerlo, lo confida, in abiti borghesi, a Thérèse, una riluttante professoressa di inglese (Simone Signoret), da lui conosciuta casualmente. Il pilota non parla una parola di francese e perciò la donna è l’unico legame con il mondo. Fra i due, dopo il primo imbarazzo, nasce un rapporto amoroso. Fuggono verso la Spagna, alle prese con la Gestapo, resistenti, magistrati, piloti alleati in fuga. Ovviamente Thérèse e il pilota si parlano obbligatoriamente in inglese. In Italia avevano risolto il problema doppiando in italiano tutti i dialoghi originali in francese e in inglese (sottotitolato)! Il risultato finale era che i due sembravano vagamente deficienti: mi ricordo un viaggio in un “metro” affollatissimo, lui vede dei soldati tedeschi e dice, pressappoco, “They are Jerries!” (Sono tedeschi!) e lei, terrorizzata, ribatte “Don’t speak english!”. Tradotto con “Non dica stupidaggini!”. Riuscì a recuperare tutti i dialoghi originali e li  feci sottotitolare. Il film venne trasmesso alla Rai senza particolare successo (non meritava di più), nessuno si accorse di niente e nessuno ne parlò. Eppure, non so perché, sono sempre stato orgoglioso del mio nascosto intervento.

(Battute 1.793)

Claudio G. Fava

9 agosto 2012

RISPOSTA A SIMONE STARACE


Rispondo volentieri a questo gentile lettore (dal cognome impegnativo) che mi invia frammenti di un press-book su Andy Griffith. Tanta gente ha imparato a conoscerlo, guardando la televisione, nei panni astuti e bonari dell’avvocato Matlock probabilmente non sospettando che il bonario protagonista si era rivelato al cinema nel 1957 nei panni di un cantante popolare di grande successo, che in realtà disprezzava il suo pubblico. Ancora una volta siamo di fronte ad uno di quei paradossi insiti nel “congelamento” delle immagini, tipico degli archivi cinematografici e televisivi. In certo senso esiste solo il presente, che inghiotte voracemente il passato, sia vicino che lontano. Un’altra osservazione stimolata dalla presenza di Andy Griffith, riguarda il suo accento di origine e quello, forzatamente neutro, del doppiaggio italiano. Griffith, originario della South Carolina, aveva, e soprattutto se necessario sfoggiava, un forte accento del sud degli Stati Uniti. Il cosiddetto “Southern Drawl”, che costituisce una delle presenze fonetiche più forti nel concerto complessivo degli accenti e delle cadenze dell’inglese americano. Il suo accento era in qualche modo implicito nei due personaggi di cui parliamo. Lonesome Rhodes, il cantante girovago dell’ Arkansas e l’avvocato Matlock, di Atlanta (Georgia) sembra fossero fortemente caratterizzati dal tono della voce. Il che rappresentava un implicito passaporto ad uso degli spettatori (pensate all’accento napoletano di Totò o a quello romano di Fabrizi o a quello cremonese di Tognazzi). E’ uno di quei particolari decisivi che il doppiaggio non consente di far sopravvivere. Lo dico con la consapevolezza di esser da circa 15 anni il direttore artistico di quello che forse è il più noto Festival italiano in materia (probabilmente i tagli ai bilanci dei Enti Locali hanno ghigliottinato la manifestazione). Ed è questa impossibilità di conservare sapori e coloriture del testo originale l’arma più forte che si può usare contro l’abitudine di doppiare i film stranieri (a favore vi sono, ovviamente, l’uso fortemente radicato in Italia e la possibilità di rispettare la stesura di un testo originale che, forzatamente, le didascalie non possono recuperare). 
Mi sembrava interessante riportare questi particolari ad uso degli spettatori del film di Kazan. Fra l’altro ultimamente mi sono chiesto se una personale del regista greco-turco-americano potrebbe interessare i “clienti” del Blog.
Resto in attesa di eventuali suggerimenti al riguardo. 

7 agosto 2012

QUALCHE “RIS – POST” AI SOLITI AFFEZIONATI, UNA PROMESSA DI FILM ED UNA BREVE VACANZA.


Nell’ ordine in cui le “lettere” mi sono pervenute rispondo qui ai lettori che mi hanno scritto e che sono molto spesso gli stessi, adunati “en petit comité”.
A proposito del mio pezzo sul 25 luglio 1943 (pubblicato il 25 luglio del 2012!) ringrazio il Principe Myskin per “il bisturi di cristallo morbido”, espressione che anche fra virgolette cela un certo mistero. Grazie anche ai fedeli corrispondenti Rosellina Mariani e Rear Window per la loro affettuosa approvazione.
Passiamo ai commenti sul film “Bandiera gialla” posto nel Blog il 26 luglio. Ringrazio Rita M. per aver evocato “Un albero cresce a Brooklyn”, un film del 1945 che credo di non aver più visto da quel tempo. Era il primo di Kazan, fino a quel momento solo uomo di teatro, e lo vedemmo subito dopo la fine della guerra. Forse ancora nelle edizioni sottotitolate a cura del P.W.B. (Psycological Warfare Branch), l’organismo dell’esercito U.S.A. incaricato di sovraintendere a tutti i problemi di comunicazione e di informazione nei paesi ove si addensavano le truppe americane. Da ragazzo mi fece una grande impressione,  che mi è rimasta ancora impressa dopo più di sessant’anni. Ho controllato e ho scoperto che mi ricordavo ancora i nomi degli attori. E cioè Peggy Ann Garner, allora tredicenne, Dorothy McGuire, James Dunn, Joan Blondell e Lloyd Nolan. Ovviamente, sono morti tutti, a testimonianza della commovente lontananza in cui è immerso quel cinema americano che mi folgorò durante l’adolescenza. La referenza fatta da Rosellina a proposito di “Fronte del porto” mi pare tipica di tutta una generazione di spettatori affascinata non soltanto da Marlon Brando ma anche, via via, da Lee J. Cobb, da Rod Steiger, Eva Marie Saint (ha 88 anni ed è viva!), Karl Malden (Mladen George Sekulovich era il suo vero nome) e Nehemiah Persoff (anche lui  è ancor vivo ed ha 93 anni!).
In quanto ad un altro affezionato, e cioè Rear Window, mi fa piacere che citi “Un volto nella folla” con Andy Griffith, Patricia Neal, Anthony Franciosa, Walter Matthau e Lee Remick. Non so se egli ha notato che il protagonista Andy Griffith, il quale ha avuto una lunga carriera cinematografica ma soprattutto televisiva, è lo stesso attore, ovviamente molto invecchiato, che dal 1986 al 1995 ha interpretato per la televisione ben 198 episodi di un seriale americano di successo, proiettato ai nostri giorni anche da reti televisive nazionali. Si intitola “Matlock” e Griffith vi ha ottenuto un notevole successo nei panni di un furbesco avvocato di provincia in grado in ogni puntata di smascherare un assassino. Benjamin Leighton "Ben" Matlock vive  e lavora a Atlanta (Georgia), e sembra che nell’originale il personaggio sia stato contraddistinto da un forte accento del Sud, il cosiddetto “Southern Drawl”.  Non vorrei sembrare un collezionista di salme ma ho controllato le date ed ho visto che Andy Griffith, nato il 1 giugno 1926, è morto proprio pochi giorni fa, e cioè il 3 luglio 2012. Valgano queste poche righe come una sincera forma di necrologio.
Infine per quanto riguarda i commenti dopo il mio brano sulle province, apparso il 27 luglio, ringrazio ancora Rosellina e il Principe Myskin (entrambi “aficionados” di prima classe) e mi limito a riservarmi di scrivere ancora sul tema. Ritengo che nella pratica quotidiana dell’Italia di ieri e di oggi, le province (soprattutto quelle più antiche e consolidate) siano un riferimento obbligato alla nostra conversazione. Istintivamente è ad una provincia che facciamo riferimento quando indichiamo l’origine o l’appartenenza di qualcuno: “viene da XXX, un paesino nella provincia di YYY”. Mentre il riferimento alla Regione è meno naturale e più pomposo (come si fa a dire: “viene dall’Emilia – Romagna” o “dal Friuli – Venezia Giulia?”). Non dimentichiamo poi che delle 20 regioni ben 5 sono a Statuto Speciale: 3 di esse (Sardegna, Sicilia e Friuli Venezia Giulia) lo sono per lusingare motivi e movimenti autonomisti se non indipendentisti, forse largamente superati dal trascorrere dei tempi. E pertanto questa speciale caratteristica non può che lasciare lievemente perplessi, se si pensa alla quantità clamorosa di denaro che, a quanto si legge nei giornali, verrebbe spesa dalla regione Sicilia. Altre 2 possono vantare motivi più radicati: la Valle D’Aosta lo è in certo senso per chiedere scusa di un centralismo dell’800 e del 900 che di fatto ha sradicato dalla regione l’uso della lingua francese, nonostante sia formalmente osservato un bilinguismo ossequioso che non ha, se non mi inganno, un vero seguito nella regione stessa. L’unico caso veramente giustificato è quello dell’ Alto Adige, di fatto costituito da un lembo meridionale del Tirolo, dopo la nostra vittoria nel 1918 trasformato a forza in una regione italiana. In realtà è costituito da una provincia italofona, Trento, e da una prevalentemente tedescofona, e cioè Bolzano (in entrambe esistono minoranze ladine). Le competenze regionale credo siano state in buona parte trasferite alle province, riconoscendo quindi il carattere essenziale che l’istituzione conserva in Italia. Nella provincia di Bolzano l’uso del tedesco da parte della popolazione d’origine austriaca è ormai tutelato da accordi internazionali ed è il minimo che si potesse fare da parte nostra per rispettare la struttura originaria di una zona in cui il tedesco era la lingua largamente predominante e che, a causa della nostra vittoria del 1918, è stata strappata di peso all’Austria e inclusa nei nostri confini (se gli italiani avessero avuto l’intelligenza di imparare e rispettare la lezione di tolleranza linguistica ed etnica impartita per secoli dall’Austria – Ungheria non ci saremmo trovati nelle condizioni in cui ci trovammo per lunghi anni nel cosiddetto Alto Adige, che gli indigeni preferiscono chiamare Südtirol).
Ultimo argomento è quello del prossimo film, forse più conosciuto di quelli che ho incluso in precedenza nelle mie “recensioni” vocali, ma che resta pur sempre una grande e divertita curiosità del cinema americano dei primi anni’40. Spero di riuscire a porlo nel Blog a partire dalla prima settimana di settembre.
Vorrei fare anche presente che, salvo sorprese dell’ultimo minuto, ho intenzione di sospendere per il mese di agosto l’apporto di nuovo materiale nel Blog. Da molto, troppo tempo ho promesso un libro a Francangelo Scapolla, editore de “Le Mani” (che in passato ha edito anche il mio “Cinema di guerra in 100 film”) e vorrei concludere al più presto possibile (ci vorranno, comunque, alcuni mesi). E’ un lavoro a più mani, che implica alcune complicazioni.
In ogni caso a presto e, senz’altro, ai primi di settembre.