Blog - Crediti


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30 giugno 2012

LA MISTERIOSA LEZIONE UNIVERSALE DEI DEFUNTI CHE SCATURISCE DALLE PAGINE DEI NECROLOGI NEI GIORNALI QUOTIDIANI.



Mi è capitato già un’altra volta di scrivere un lungo pezzo nel Blog ispirato ad un’intera pagina de “La Stampa” in ricordo della scomparsa di una autorevole nobildonna torinese, che era stata anche sindaco della città. Sono, come sempre, persuaso che leggendo le necrologie di un giornale si possano imparare molte cose sulla società e sulla città da cui il giornale proviene. Per fare un esempio che testimonia anche di un mio rimpianto, perché sul tema avrei voluto scrivere un piccolo saggio, anni fa scopersi che, redatti e realizzati entrambi a Parigi, il “Figaro”(almeno nella struttura grafica e nell’ impaginazione di un tempo) e “Le Monde” differivano completamente nella qualità dei morti. Gli annunci del “Figaro” contavano su moltissimi nobili e su molti sacerdoti altolocati, per non citare la rubrica in cui si annunciavano fidanzamenti e matrimoni, che a volte sembrava presa di peso dal “Bottin” mondano del secolo scorso. Mentre al contrario i morti di “Le Monde” allineavano un numero impressionante di professori universitari, di scrittori e di intellettuali di ogni tipo, con ampie digressioni nella società industriale.
Per tornare a noi (oggi è sabato 30 giugno 2012) sfogliando il “Corriere della Sera” mi è caduto l’occhio su intera pagina di necrologie, per l’esattezza la pagina 68, divisa tra pochi soggetti. Fra di essi la Dottoressa Claudia Artoni Schlesinger di largo impatto cittadino, Mario Fuccaro, con un enorme elenco di partecipanti (perché quelli che pongono l’annuncio sono i giornalisti del Corriere della Sera ed il defunto era padre di un loro collega) ed uno sconosciuto Marino Facco de Lagarda, morto a Londra, il cui cognome mi ha fatto trasalire perché mi ha fatto venire in mente lo scrittore Ugo Facco de Lagarda da cui nel 1969 Ettore Scola trasse un film intitolato “Il commissario Pepe”, interpretato da Ugo Tognazzi (ed anche dall’impagabile Tano Cimarosa). Il tema era tipico delle amare commedie deprecatorie che ebbero successo nel cinema italiano del tempo: qui infatti è di scena un’inchiesta in una città veneta su problemi di buon costume: alla fine provoca una tale possibilità di scandalo che l’inchiesta stessa viene messa a tacere e il commissario (appunto Tognazzi) si fa trasferire. Ma la ragione vera, per cui a parte questi motivi marginali, mi è caduto l’occhio sulla pagina è che vi si comunica la morte del Conte Avvocato Urbano Rattazzi. Il primo annuncio è posto dalla moglie Fanny, il secondo dai figli Ilaria, Sammaritana, Cristiano, Delfino, Lupo e Priscilla, “con tutti i loro figli”. Ammetto che la prima impressione che ho avuto è stata determinata dal nome e dal cognome dello scomparso e che, non essendo io appassionato di pettegolezzi di lusso, non avevo collegato alla ex-moglie Susanna Agnelli, da cui aveva divorziato nel 1975. Quel che mi ha colpito è stato proprio il fatidico nome politico del defunto perché ripete quello di un personaggio (evidentemente un suo avo) che fu molto importante nella politica piemontese ed italiana della seconda metà dell’800. Un po’ come se mi fossi imbattuto nella necrologia del Conte Camillo di Cavour o del Marchese Massimo d’ Azeglio. Ammetto che ho avvertito una sorta di fantascientifico fremito storiografico, come se fosse emerso improvvisamente dal nulla una notevole figura del passato. Rattazzi (credo che la maggior parte degli italiani di oggi ignorino il suo nome) era nato a Masio, in provincia di Alessandria il 30 giugno 1808 e morì a Frosinone il 5 giugno 1873. Rattazzi fu deputato al primo Parlamento subalpino, e poi a quello del Regno d’Italia, dal 1848 al 1867, quando Giuseppe Garibaldi, arrestato dopo la battaglia di Mentana, riuscì a fuggire a Caprera e a sbarcare in Toscana. Si trovò costretto a dimettersi dalla carica da Presidente del Consiglio che ricopriva sempre con inizio nel 1867 dopo la fine del secondo Ministero Ricasoli. Ma per quasi vent’anni Rattazzi fu un uomo determinante nella politica piemontese e italiana. Fra le tante cose che si ricordano di lui è che, di fatto, fu il fondatore del primo “Centro - sinistra” quando, abbandonando la sinistra vera e propria, nel 1852 si alleò con il “Centro – destra” di Cavour favorendo l’ascesa al potere d’una nuova classe dirigente proveniente dalla borghesia. A Rattazzi si deve anche, nella sua qualità di Ministro dell’Interno con Cavour Presidente del Consiglio, il varo della cosiddetta legge “delle corporazioni religiose” che portarono all’incameramento dei beni ecclesiastici e ad un vantaggio enorme per lo Stato. La sua politica anticlericale fu ribadita in buona parte della sua vita politica. Va detto che fu giudiziosamente contrario alla cessione alla Francia (caldeggiata da Cavour per ottenere l’appoggio di Napoleone III) della Savoia e di Nizza e, più largamente, si trovò, pur da uomo di sinistra, a difendere il nuovo e fragilissimo Stato italiano. Francamente non ho capito se fosse già nobile ereditario o se Vittorio Emanuele II l’ avesse insignito del titolo di Conte. Ma è vero che un suo nipote, figlio del fratello (si chiamava anche lui Urbano, come se in famiglia non avessero un altro nome proprio a disposizione) nelle schede senatoriali figura come nobile ereditario. In ogni caso io ho sempre provato interesse per Urbano Rattazzi perché fu, credo, grazie al suo peso politico che riuscì ad allargare il suo collegio elettorale, ampliando notevolmente i confini della provincia di Alessandria, che in questo modo riuscì ad inghiottire Novi Ligure e la zona circostante, che fu per moltissimi anni dominio genovese. Ho sempre pensato che se non fosse stato per Rattazzi mio nonno paterno, appunto di Novi Ligure, sarebbe nato genovese come me, in qualche modo rispettando le lezioni della storia. È appunto in virtù di questo “patriottismo” indiretto che, come Direttore artistico del Festival Voci nell’ Ombra, feci dare il Premio Castellani, inteso a rimeritare un ligure che si sia illustrato nei campi della cultura e dello spettacolo, a Claudio Bisio, nato a Pasturana, situata a 3 chilometri e mezzo da Novi Ligure, e perciò  designato all’omaggio in qualità di “ligure irredento”. 
Per tornare al necrologio propriamente detto, si contano - se non ho sbagliato il calcolo – 37 annunci  con un’infinità di rimandi a varie figure della Famiglia Agnelli ( come si è già detto il defunto aveva sposato a suo tempo, avendone i 6 figli prima citati, Susanna Agnelli, sorella di Gianni). Per cui è evidente la partecipazione di molti membri della famiglia, compresa la moglie dello stesso Gianni, la sorella di Gianni, Maria Sole, Luca di Montezemolo e tutti parenti di rilievo compresi i Nasi, i Ferrero Ventimiglia, i Camerana, i Furstenberg. La singolarità dell’ambiente è ribadita da due annunci particolari. In uno la figlia Delfina (che partecipa naturalmente anche all’annuncio globale) piange suo padre e aggiunge bizzarramente: se esiste un Paradiso degli “Juventini” sulla porta hai trovato Sivori ad aspettarti. L’altro annuncio, molto in stile “Downton Abbey”, è quello posto dal “personale di casa Rattazzi” che è “vicino al dolore della contessa nel ricordo dell’ indimenticabile Conte Avvocato Urbano Rattazzi“ e si firma diligentemente: Gianni, Antonia, Valentina, Nina, Suraj, Luisa.
Mi pare evidente che anche a pagina 68 del Corriere della Sera si è provveduto a scrivere un frammento impercettibile ma, a suo modo importante, della storia passata e presente d’Italia. Ove, come accade ovunque, le vite degli umani nei romanzi copiano la vita ma dove, forse altrettanto spesso le vite degli umani copiano i romanzi.
(Battute 7.575)

27 giugno 2012

A DOMANDA RISPONDE


Alcune nozioni indispensabili (e serissime) su Falcone Lucifero, nobile dei marchesi di Aprigliano, ultimo Ministro della Real Casa della famiglia Savoia. 

Rispondo qui ad un post a firma “Enrico”, inviato in seguito al mio scritto su “Umberto di Savoia e le vendette dei suoi discendenti”, pubblicato nel Blog il 19/06/12.
Ecco il testo del post:
“ Questi signori forse non troverebbero posto nemmeno in un'operetta di Franz Lehar.Ha detto che non vuol più tornare sull'argomento...ma vorrei che spendesse qualche parola su un personaggio che non conosco ma che per titolo e nome mi ha sempre incuriosito : il Ministro della Real Casa Falcone Lucifero. Cordiali saluti”
Mi fa molto piacere rispondere a questa domanda, anche se mi rendo conto che la curiosità di Enrico è sostanzialmente motivata dal duplice, quasi esplosivo, accorpamento del nome e del cognome del nostro personaggio: l’uno fa pensare ai rapaci da preda l’altro all’Inferno (con una sorta di strizzatina d’occhio al “Falcone Maltese” di Dashiell Hammett e di John Huston). 
In realtà il personaggio è un uomo di tutto rilievo, coraggioso, saggio e meritevole, che ebbe un “iter” personale non comune durante il fascismo. Nato a Crotone il 3 Gennaio  1898 in una famiglia patrizia molto influente in Calabria, fu ufficiale nella prima guerra mondiale e poi si laureò in legge  a Torino. Nel 1920, schierato nelle file del Partito Socialista Unitario fu eletto consigliere comunale di Crotone. Sembra che durante i vent’anni di regime abbia dovuto iscriversi al Partito Nazionale Fascista come accadde a molti a doverlo fare, ma si ritirò comunque da ogni attività politica e fece l’avvocato. Era un nome non dimenticato, tuttavia, fra chi aveva fatto politica prima della marcia su Roma. Infatti il maresciallo Badoglio, Presidente del Consiglio rifugiato al Sud con Vittorio Emanuele III e Umberto di Savoia, lo nominò, ovviamente dopo il 25 luglio 1943, prima prefetto di Catanzaro e poi di Bari. Difendendo i diritti dei cittadini riuscì tuttavia ad andare d’accordo con gli alleati, si impose come uomo energico e accorto e Badoglio lo prescelse come Ministro dell’Agricoltura dall’11 Febbraio al 22 Aprile 1944. La sua opera come Prefetto e come Ministro attirò l’attenzione di Umberto di Savoia il quale nel Giugno 1944 subentrò a Vittorio Emanuele III, ostinato nel rifiutare l’abdicazione, con la qualifica di Luogotenente Generale del Regno. Un operazione che fu la conseguenza di un astuto suggerimento del celebre avvocato e politico pre-fascista Enrico De Nicola, destinato poi ad essere il primo Presidente Provvisorio della Repubblica italiana. Egli,  rispolverando un istituto concepito per ovviare alle improvvise assenze del sovrano per motivi di forza maggiore, consentì di aggirare il blocco dei partiti di sinistra contro il Re e di garantire la continuità formale dello Stato.
Umberto di Savoia, che era molto più intelligente di quanto abitualmente si riteneva, si accorse dei meriti di Falcone Lucifero e lo nominò Ministro della Real Casa. Antica carica di Casa Savoia che ne faceva il portavoce automatico del sovrano e spesso il tramite decisivo nei rapporti esterni. Fino a quel momento, a partire dal 1939 la carica era stata coperta dal Conte Pietro Acquarone, che venne poi fatto Duca mutando il cognome in d’Acquarone. Era un uomo d’affari genovese che godeva della fiducia di Vittorio Emanuele III e che fu decisivo nella preparazione del colpo di stato del 25 Luglio 1943. Fin dalla nomina Lucifero fu determinante nell’impostare la figura e la presenza politica di Umberto. Per due anni la sua presenza al Quirinale garantì un ragionato rapporto dei monarchici con il Luogotenente e al tempo stesso un argine e una difesa rispetto ai governi democratici (spesso, in larga misura, anti monarchici, anche se la scaltra politica di Togliatti riuscì ad accantonare sino al dopoguerra la polemica istituzionale). Dal giorno della decisiva votazione sui problemi istituzionali, e quindi dal 2 giugno al 13 giugno 1946, egli difese con tenacia e con fedeltà la figura e le competenze di Umberto, adottando, come gli è stato riconosciuto “una linea ferma ma scevra di tentazioni oltranziste”. Il 13 Giugno, facendo seguito all’ attribuzione da parte del Consiglio dei Ministri del potere di capo provvisorio dello stato ad Alcide De Gasperi, fu lui a redigere il testo dell’ultimo proclama di Umberto II, che contestava la coerenza giuridica della decisione ma per amor di patria rinunciava ad ogni azione di difesa. Lo stesso Umberto  partì da Roma in aereo (pilotato dal fratello maggiore di Carlo Lizzani) diretto alla Spagna e poi al Portogallo dove avrebbe stabilito la sua dimora, a Cascais, mentre la moglie Maria José decise di stare con il figlio Vittorio Emanuele a Ginevra, dove via via la raggiunsero le tre figlie, Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice detta “Titti”. Dalla partenza di quello che venne chiamato “Il Re di Maggio” infatti (il padre Vittorio Emanuele III aveva abdicato in suo favore poche settimane prima del referendum) Lucifero rimase sino alla morte di Umberto, avvenuta nel 1983 il punto di riferimento ufficiale e ufficioso del Re in esilio. Lo rappresentò in tutte le cerimonie solenni in cui interveniva in sua rappresentanza (ad esempio fu presente in questa veste alle esequie di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, e Giovanni Paolo I). Ebbe sempre molti contatti con gli esponenti politici più importanti e, per fare capire da quale stima era circondato nel 1948 rifiutò addirittura la nomina a Senatore a Vita offertagli da Luigi Enaudi. A testimonianza della stima che sempre gli riserbò, Umberto II lo nominò il 4 Settembre 1969 ( giorno in cui compiva 65 anni) Cavaliere dell’ Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Insieme a quello di Vittorio Cini sembra sia il solo caso in cui la massima decorazione di Casa Savoia venne concessa ad una persona che non era né capo di uno stato né apparteneva ad una dinastia reale. Falcone Lucifero morì, quasi centenario, il 2 Maggio 1997. Ma dopo la morte di Umberto nel 1983, Vittorio Emanuele gli aveva tolto ogni delega di ufficiosa rappresentanza in Italia. di Casa Savoia. In tutti quei decenni non cessò di occuparsi non solo di politica ma anche di narrativa di teatro. Le sue testimonianze più importanti riguardano la sua esperienza di Ministro della Real Casa. Nel 1966 pubblicò, come curatore, “Il Re il pensiero e l’azione del Re Umberto II dall’esilio”e sempre come curatore nel 1978 “Il re dall’esilio”. 
Ma sicuramente quel che ha scritto di più decisivo è apparso nel 2002 da Mondadori con il titolo “L’ultimo Re. I  diari del Ministro del Real Casa 1944-1946”. E’ un libro molto interessante, che io ho letto molte volte, e da cui vien fuori il ritratto di un uomo freddo, forte, coraggioso e determinato. A chi è interessato a conoscere i risvolti di un periodo decisivo della recente storia d’Italia lo consiglio senza la minima esitazione (vorrei precisare che qualche volta Falcone Lucifero è confuso con suo cugino Roberto Lucifero, il quale fu deputato del Partito Liberale e del Partito Nazionale Monarchico).

19 giugno 2012

UMBERTO DI SAVOIA E LE “VENDETTE” DEI SUOI DISCENDENTI


Ho appena letto, mi sembra sul Corriere della Sera, che una delle reti Rai trasmetterà un “Reality” presentato da Emanuele Filiberto di Savoia. Confesso che è una di quelle notizie che mi tagliano le gambe. Il comportamento di questi ultimi Savoia (suo, di suo padre e, ai suoi tempi, di sua zia Maria Beatrice detta “Titti”) passa ogni limite nella mancanza di gusto. Perfino i cugini Aosta, sicuramente più controllati nel modo di vivere, sono riusciti a diventare protagonisti di una regia soap-opera. Essi infatti, seguendo i dettami di un superstite Senato del Regno, hanno improvvisamente disconosciuto, con molto ritardo (quasi quarant’anni!) il matrimonio di Vittorio Emanuele con Marina Ricolfi Doria perché celebrato, nel 1970 e nel 1971 (quello civile e quello religioso) contro la volontà di Umberto di Savoia, ultimo Re d’Italia, padre di Vittorio Emanuele. E pertanto  Amedeo di Aosta ha quindi avocato a se il diritto di rappresentare le ragioni dinastiche di casa Savoia, nominando ufficialmente suo erede il figlio Aimone (che fa il dirigente della Pirelli in Russia e sembrerebbe il più sensato di tutti). In questo modo anche i Savoia sono riusciti a dividersi in due ordini di pretendenti. Come hanno già fatto i Borbone di Francia, profondamente separati fra il ramo Orléans che fa capo al Conte di Parigi e quello  che riconosce come legittimo erede il Duca D’Anjou, detto dai suoi fedeli Luigi XX. Come è noto gli Orléans discendono da un fratello minore di Luigi XIV e hanno nella loro storia personaggi come Filippo, detto Filippo “Egalité”, il quale votò la morte del cugino Luigi XVI, e come suo figlio Luigi Filippo, che divenne invece Re dei francesi. Pertanto l’ombra del ”regicida” grava sugli Orléans e non ci si stupisce che i più rigidi fra i legittimisti gli preferiscano Luigi XX, e cioè lo spagnolo Alfonso di Borbone. Questi discende direttamente da Luigi XV e nel suo albero genealogico si ritrovano una serie di principi spagnoli che erano anche pretendenti borbonici in Francia (per un’astuzia “politica” la madre del prima ricordato pretendente, Luis Alfonso de Borbòn y Martinez – Bourdiù, detto appunto Luigi XX, è figlia della figlia del generalissimo Franco, il che aveva convogliato su suo padre curiose ipotesi al tempo stesso carliste e franchiste in Spagna e borboniche in Francia).
D’altronde anche i nostri Borbone, come molti di questi Re senza corona, sono riusciti a dividersi in due famiglie rivali di pretendenti al trono. I cultori di curiosità dinastiche sanno infatti che ci sono due rami dei Borbone delle Due Sicilie pretendenti al trono di Napoli. Quello cosiddetto francese, che fa capo attualmente al Duca di Castro, il quale prima fu Duca di Calabria ed ancor prima Duca di Noto. E quello detto spagnolo, che ha al suo capo un altro Duca di Noto, Don Carlos, riconosciuto come legittimo pretendente da Juan Carlos Re di Spagna, suo cugino. E’ curioso quindi che in Francia e in Italia più si perde il trono più lo si reclama. Il che può accadere, secondo i casi, l’epoche e le persone, con maggiore o minore dignità. Ma non v’è dubbio che il comportamento di Emanuele Filiberto sia il più strano fra tutti. Da un lato non mi pare che abbia completamente rinunciato ai suoi diritti teorici, ma dall’altro sia lui che suo padre hanno riconosciuto quasi festosamente la Repubblica italiana e la persona e la carica del suo Presidente. D’altro canto Emanuele Filiberto si ostina a coltivare una sua curiosa vocazione da “entertainer” e da conduttore televisivo, puntando su un appannato richiamo principesco e su una garbata ma palese mediocrità. Poiché conosce, credo, diverse lingue avrebbe potuto puntare su questo particolare secondario ma non trascurabile all’ interno di una televisione italiana ossessionata da personaggi spesso assurdi che l’italiano lo parlano male ma con arroganza. Invece si limita a riproporsi con incomprensibile tenacia  nella figura di un commentatore – protagonista che non si capisce da quale carisma dovrebbe essere sorretto. Io non so che cosa ne penserebbe suo nonno. Si può dir quello che si vuole di Umberto II ma è fuor di dubbio che nell’esilio si comportò con molta dignità (pur nella imbarazzante separazione familiare, lui in Portogallo la moglie in Svizzera, che segnò in certo modo tutto il suo matrimonio). Mi chiedo cosa avrebbe potuto pensare del suo nipote, né principesco né regale. Mi rendo conto che il risultato del referendum del 2 giugno 1946, favorevole alla Repubblica, aveva giudiziosamente anticipato i tempi. Ma credo che nessuno dei monarchici che, nel maggio e nel giugno di quell’anno, sventolavano il tricolore con lo stemma sabaudo durante le manifestazioni monarchiche (a Roma in quel periodo abbastanza frequenti) avrebbe potuto minimamente immaginare un futuro di Casa Savoia sospeso fra i postumi del Grande Fratello.
E’ un argomento fastidioso sul quale mi riprometto di non tornare più!

18 giugno 2012

QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL CINEMA HOLLYWOODIANO CONTEMPORANEO (SI VEDA UN ELENCO DI TITOLI E DI REGISTI FORMULATO DA RENATO VENTURELLI)


Qualche tempo fa avevo chiesto al mio amico Renato Venturelli- grande specialista di film Noir e laboriosissimo critico cinematografico del “Lavoro”, edizione genovese de “La Repubblica”- un elenco indicativo riguardante i film americani degli ultimi 2/3 anni che lui predilige. Riporto qui, in corsivo, l’elenco, insieme alle specifiche precisazioni scritte da Venturelli:

 “Bastardi senza Gloria” (Inglourious Basterds, 2009) di Quentin Tarantino; “The Social Network” (idem, 2010) di David Fincher; “Gran Torino” (idem, 2008) di Clint Eastwood; “Avatar” (idem, 2010) di James Cameron; “The Town” (idem, 2010) di Ben Afleck; “Le idi di marzo” (“The Ides of March”, 2011) di George Clooney; “War Horse” (idem, 2011) di Steven Spielberg.
Tra i meno recenti, imprescindibile:
“I padroni della notte” (“We Own the Night”, 2007) di James Gray.
Inoltre, tra i più recenti: 
“The Tree of Life” (idem, 2011) di Terrence Malick; “Drive” (idem, 2011) di Nicolas W. Refn; “The Fighter” (idem, 2010) di David O. Russell; “Hugo Cabret” (idem, 2011) di Martin Scorsese; “Margin Call” (idem, 2011) di J.C. Chandor; “Un gelido inverno” (“Winter’s Bone”, 2010) di Debra Granik; “Paradiso amaro” (“The Descendants”, 2011) di Alexander Payne; “The Wrestler” (idem, 2008) di Darren Aronosfky

Mi pare un elenco molto interessante. Io ho visto solo una parte dei film e non è escluso che molti dei lettori siano più di me in condizione di esprimere un giudizio meditato. Ma quel che mi pare stimolante è il complesso di una testimonianza articolata secondo le scadenze di un cinema americano (e pur sempre in buona parte hollywoodiano) forse più opaco di qualche tempo fa ma sempre pieno di lampi improvvisi e di invenzioni relativamente inattese.

Una prima considerazione, riguardante il mercato italiano, che è quasi obbligatorio formulare, riguarda il numero dei film per i quali è stato conservato anche da noi il titolo originale. Salvo errore i film sono complessivamente 16 e in ben 11 di essi il titolo americano è stato conservato, con  una proporzione assolutamente impensabile sino a 10/20 anni fa. E’ la testimonianza, sempre che occorra ricercarla, della penetrazione minuta e disordinata della lingua inglese nel tessuto complessivo di quella italiana. Moltissimi connazionali ormai usano disordinatamente l’inglese nel tessuto del loro abituale discorrere (in realtà la maggioranza di essi l’inglese di fatto non lo conosce ma, come un personaggio di Alberto Sordi, finge di saperlo a menadito).
Per indulgere a considerazioni più concrete, veniamo alle indicazioni di Venturelli con una immediata notazione per un film che egli considera “imprescindibile”, e cioè “I padroni della notte”. Il regista, James Gray è nato nel 1969 ed è balzato alla notorietà molto giovane, nel 1994, quando, a soli 25 anni di età ha vinto il Leone d’Argento a Venezia con il suo film d’esordio, “Little Odessa”, (ha circolato anche con il titolo “Il quarto comandamento”) centrato su un killer a pagamento che ritorna nella natia Brigthon Beach, a Long Island, luogo di una forte immigrazione di ebrei-russi, a cui probabilmente appartiene la stessa famiglia del regista. Fu un grande successo (una delle interpreti, Vanessa Redgrave, ottenne la Coppa Volpi). Mentre il secondo film di Gray (“The Yards”, 2000) sembra non abbia avuto molta fortuna nel mercato italiano pur contando da noi molti fedeli estimatori che lo considerano superiore a “Little Odessa”. Il suo terzo film fu appunto il prima citato “I padroni della notte”, mentre il quarto (credo che per ora sia il più recente) si intitola “Two Lovers” (2008, ancora un titolo originale!) ambientato di nuovo nel quartiere russo-ebraico di Brighton Beach: Gray, per la prima volta vi affronta un tema non violento e viene sedotto da notazioni apertamente intimiste.
Come si vede la citazione di Venturelli evoca un autore, forse non molto conosciuto in Italia da quello che si chiama abitualmente il grande pubblico, ma sicuramente dominato da un forte temperamento personale ed, ancora una volta, ritmato da la seduzione dei ricordi “etnici” di quella minoranza ebraica che ha sicuramente un peso determinante nella storia del cinema americano.
Che cosa si può dedurre da tutti gli altri titoli qui riportati? Certamente la presenza dell’eredità di un cinema “fisico-violento” che si riallaccia ad antiche tradizioni hollywoodiane e la cui presenza è qui ribadita da opere come “The Fighter” e “The Wrestler” . Inoltre la vocazione a rivisitare tipici sfondi sia urbani che umani propri degli Stati Uniti (si veda “Gran Torino”e “Un Gelido Inverno”). O a recuperare, con le “Idi di Marzo” tonalità decisive nella storia di quel cinema “para-politico” un tempo così vivo a Hollywood. Si pensi a “Mr. Smith va a Washington” di Frank Capra, del 1939, “Tempesta su Washington” di Otto Preminger, 1962, “Sette giorni a maggio”, 1964, di John Frankenheimer,  “Tutti gli uomini del Presidente”, 1976, di Alan J.Pakula, e via citando.
Tutti gli altri titoli, e quindi tutti gli altri registi, citati da Venturelli, implicano una complessa visione collettiva di un cinema come quello americano da cui nessuno storico serio può mai prescindere. Da un lato nomi significativi per quel che implicano o per quel che si vorrebbe implicassero (Tarantino, Eastwood, Cameron, Scorsese, Spielberg e l’enigmatico ma da molti adorato Terrence Malick) , dall’altro un profilo variamente articolato di una visione del mondo che alterna le connotazioni gialle e nere intersecate con l’inquieta e variegata tempestosità di una condizione sociale ed umana che, nei pregi e nei difetti, rende gli Stati Uniti un “unicum” nella storia del mondo contemporaneo.
Queste sono poche, generiche e affrettate notazioni generali su un elenco, e quindi su un tema, che mi auguro possa interessare qualche lettore e a proposito del quale amerei ricevere un fitto ed intenso elenco di Post. Resto in attesa e saluto tutti.

15 giugno 2012

LE NUOVE NOMINE ALLA RAI ED ALCUNE (LAMENTOSE) NOTAZIONI PERSONALI


Sei giorni fa, come è noto, Monti ha reso noto i nomi dei nuovi dirigenti Rai: Anna Maria Tarantola, Presidente, e Luigi Gubitosi, Direttore Generale (è nata subito una polemica perché sembrerebbe che la scelta di quest’ultimo incarico spetti non al Governo ma al Consiglio di Amministrazione). In ogni caso si tratta di due persone che provengono da una carriera che sembra di notevole rilievo sia nel mondo bancario che in quello industriale. Ho controllato in internet e ne ho ricavato i seguenti dati: Anna Maria Tarantola è nata il 3 febbraio 1945 a Casalpusterlengo (provincia di Lodi, 15.302 abitanti). E’ sposata, ha due figlie, si è laureata nel 1969 in Economia e Commercio alla Cattolica di Milano e poi ha ottenuto il titolo di Master of Philosopy alla London School of Economics. Nel 1971 è stata assunta all’ufficio vigilanza della sede di Milano della Banca d’Italia, nel 1996 è diventata Direttore della succursale di Varese, nel 1998 è tornata a Milano come titolare della Direzione Intermedia di Vigilanza – Cambi. Successivamente ha diretto la Filiale di Brescia, la Sede di Bologna ed è stata nominata Funzionario generale all’area Bilancio e Controllo. Nel 2009 Mario Draghi l’ha fatta entrare nel Direttorio di Bankitalia (era la prima donna a cui toccava questa distinzione) e l’ha nominata Vice Direttore Generale della Banca d’Italia.
Dal canto suo Luigi Gubitosi è nato nel 1961 a Napoli, si è laureato in Giurisprudenza, ha studiato a Fontaibleau all’INSEAD (Institut Europeén d’Administration des affaires) ed alla London School of Economics e successivamente è stato assunto dalla Fiat ove dal 1986 al 2005 è stato Direttore finanziario, Presidente del CdA di Fiat Partecipazioni e membro del CdA di Fiat Auto, Ferrari, Iveco, Magneti Marelli eccetera. Nel 2005 è diventato Direttore finanziario di Wind e successivamente il numero uno operativo della società telefonica. Poco tempo fa ha lasciato la Wind per andare a Bank of American – Merryll Linch.
Ho cercato di informarmi al meglio perché naturalmente io non sapevo neppure che esistessero Tarantola e Gubitosi. Il loro curriculum fa pensare ad una carriera di tutto rispetto e di alto livello. Tuttavia ancora una volta si ha la sensazione che attingere agli alti gradi della Banca e della finanza (o dell’Università) sia la strada migliore per individuare dirigenti in grado di pilotare un complesso Ente radio -televisivo. Probabilmente, dal punto di vista di Monti, sono scelte responsabili ed oculate come presumibilmente intendevano essere quelle che nel 1993 portarono alla guida della Rai i cosiddetti “Professori”(con in testa il Professor Dematté). Io vissi tutto quel periodo, che fu particolarmente agitato, e soffersi di un atteggiamento preconcetto nei confronti dell’Azienda, tipico di un gruppo di persone che proveniva dall’esterno, non sapeva nulla né di radio né di televisione ed era persuaso di avere a che fare con un mucchio di fannulloni e di incapaci. In particolare io ero dal 1981 Capo-struttura di Rai Due con un’amplissima competenza: scelta e programmazione di film, telefilm soap-opera, seriali e sceneggiati d’acquisto. E con una vastità di impegni di palinsesto che, in presenza di ben 6 Strutture, faceva gravare su quella da me diretta quasi la metà dell’ intera programmazione. Avevo (ed ho) la coscienza a posto. Sapevo cioè di appartenere a quel piccolo gruppo di persone che negli anni’80 aveva contribuito in modo decisivo a tenere in piedi e ad aumentare gli ascolti di Rai Due (quello che ci veniva chiesto con maniacale intensità era di conservare gli ascolti consolidati e non di curare la qualità dei programmi: se lo facevamo era una nostra personale preoccupazione ed un orgoglio professionale). Di colpo mi trovai a fare i conti con un nuovo Direttore del Personale (una definizione aziendale che, probabilmente, andava bene sin dai tempi del Conte di Cavour, era stata ormai sostituita dall’espressione vagamente razzista di: Direttore delle Risorse Umane). Era il Professor Pier Luigi Celli (ha avuto un tale successo che successivamente credo sia tornato alla Rai come Direttore Generale) il cui solo nome basta ancor oggi a mettermi in agitazione. Di colpo scopersi che nei miei confronti, ed in quelli di altri Dirigenti, egli aveva un solo obiettivo: mandarci via al più presto. Io sapevo di aver connotato la programmazione cinematografica di Rai Uno e poi di Rai Due per più di vent’anni, di aver inventato e imposto cicli divenuti quasi famosi, di aver coordinato a Rai Due, grazie ad un gruppo di eccellenti funzionarie, un’offerta di ottimi telefilm e di programmi indubbiamente redditizi per l’azienda (solo con Beautiful avevo portato l’ascolto, in un dato momento della giornata, da 300 mila a 5 milioni di telespettatori). Senza chiedere una lira di aumento specifico, con lo stipendio da Capo – redattore opportunamente integrato, avevo portato a termine centinaia di presentazioni di film e di apparizioni televisive di altra natura, tali che molta gente (soprattutto di una certa età) mi ricorda ancora. Insieme a Marcello Bernassola, Responsabile del Palinsesto di Rai Due, avevo contribuito in modo decisivo a costruire alcuni appuntamenti che tenevano in piedi la rete (si pensi al solo “poliziesco preserale” che obbligava milioni di italiani a tornare a casa a rotta di collo). Ebbene nel giro di pochi mesi il Professor Celli riuscì a infliggermi tali e tante umiliazioni da indurmi ad abbandonare l’azienda, a cui avevo dato gioiosamente 24 anni della mia vita, alcuni mesi prima del mio 65° compleanno, data in teoria obbligatoria per il pensionamento dei giornalisti. So che successivamente egli riconobbe che lui e i suoi colleghi “avevano salvato il bilancio della Rai ma avevano distrutto l’Azienda”.
Mi rendo conto che quel che ho scritto qui rivela un tetro sapore di senile risentimento personale. Ma è anche una testimonianza, sincera al massimo, in presenza delle nuove nomine effettuate da Monti. Mi rendo conto che l’ intelligenza e l’elasticità sono elementi essenziali per un grande dirigente d’azienda (altrimenti Marchionne, non sarebbe diventato da un momento all’altro, un ottimo amministratore della Fiat). Ma è anche vero che allestire programmi televisivi e radiofonici esige una sensibilità complessa ed un addestramento operante che non sono garantiti da una pur ottima carriera bancaria. Ho la sensazione che la Rai di oggi, malgrado molti più canali a disposizione, sia peggiore di quella dei miei tempi. Ma è anche vero che una classe dirigente specializzata non si forma da un momento all’altro per ordine dei superiori. Ci riuscirono, fra gli anni’60 ed i ’70, i democristiani d’epoca, che però avevano saputo passare centinaia di ore in moviola e nella lettura dei copioni (si pensi a Emilio Rossi, Agnes, Giordani, Valmarana, eccetera). La presenza, forse più come Presidente che come Direttore Generale, di un uomo del mestiere, quale avrebbe potuto essere, ad esempio, Pupi Avati, regista pratico di amministrazione (e come lo è stato sicuramente Paolo Garimberti diventato, come me, giornalista professionista al Corriere Mercantile) non sarebbe stato una scelta sbagliata. Riservando poi ad un Direttore Generale con ampi poteri la sistemazione organizzativa  dei vari livelli gerarchici, la rimozione coraggiosa di notori incompetenti e la sostituzione di Dirigenti senza compiti (ma con stipendi decorosissimi) che tradizionalmente uno dei mali dell’azienda.
Un tempo gli italiani hanno voluto bene alla Rai, e lo stesso sentimento lo provano, come me, tanti ex – dipendenti. Quel che ci aspettiamo (ma forse non arriverà mai) un Governo aziendale che sia degno della fedeltà dei sudditi. 

6 giugno 2012

Rinvio al mese prossimo della mia rubrica “Salvate la tigre”


La redazione di FilmTv mi ha informato che, a causa dei problemi di impaginazione posti dalla presenza di uno speciale inserto sul calcio e il cinema, la mia rubrichetta mensile “Salvate la tigre” sarà presumibilmente rinviata al primo martedì del mese di luglio. Ho già fornito due puntate di riserva e non so quale sarà pubblicata per prima. Debbo riconoscere che quando ho iniziato la collaborazione con FilmTv non sapevo che avrei ricordato tanti esempi di “salvataggi” e di “recuperi” di film da me portati a termine nei miei 24 anni di Rai. In effetti, sospinto dalla necessità di ricordare, via via mi vengono in mente episodi che si erano rifugiati nella memoria dando l’impressione di sparire del tutto, fenomeno tipico dei vecchietti come me. Pertanto qualche puntata dovrei riuscire ancora ad alimentarla. Naturalmente mi sarebbero molto utili interventi dei lettori, tanto per sapere se questi brandelli del passato che illustro via via interessino veramente a qualcuno o se invece devo cambiare completamente registro. 
Speriamo che qualcuno si faccia vivo!

5 giugno 2012

FILM TV N.23 (Rinvio al mese prossimo della mia rubrica "Salvate la tigre".)

Ricevo dal direttore Aldo Fittante il sommario e la copertina del n.23 del settimanale "Film Tv" in edicola da oggi Martedì 5/06/2012 fino a Lunedì 11/06/2012. Sempre in copertina troviamo SCARLETT JOHANSSON, nelle sale italiane da venerdì  8  giugno con il film  "LA MIA VITA E' UNO ZOO". Ma il numero è sostanzialmente incentrato su uno SPECIALE dedicato al rapporto tra CINEMA & CALCIO in vista degli imminenti Europei, con articoli su SUPERMARIO BALOTELLI, NEREO ROCCO, CARLO PETRINI. Inoltre il prossimo film di GABRIELE MUCCINO, PLAYING THE FIELD (che sarà distribuito da MEDUSA all'inizio del 2013, ambientato nel mondo del calcio), filmografia e bibliografie ragionate e con IL CARTELLONE di tutte le partite degli Europei.
Inoltre, un'intervista a MADONNA in occasione dell'uscita italiana del suo film da regista W.E. EDWARD E WALLIS (dall'8 giugno), ricordi di RAINER WERNER FASSBINDER (a 30 anni dalla scomparsa), di JUDY GARLAND (di cui cade il 90esimo anniversario della nascita: locandina in regalo di IL PIRATA di Vincente Minnelli con Gene Kelly e, appunto, la Garland), dei recentemente scomparsi DONNA SUMMER e ROBIN GIBB, e un articolo su GINA GERSHON (che compie 50 anni). Oltre naturalmente alle recensioni dei film in uscita nelle sale e ai programmi di 50 reti con relative schede dei film in programma in Tv da domenica 10 a sabato 16 giugno.

1 giugno 2012

7 - Alcuni film americani che conviene avere visto - Vertigine

SETTIMA PUNTATA DELLA RUBRICA IN CUI SI "RECENSISCONO" OPERE CINEMATOGRAFICHE DEL PASSATO PROSSIMO
"Vertigine" (Laura) di Otto Preminger

E' un film del 1944 (penultimo anno della Seconda guerra mondiale!) che rivelò un autore di origine austro-tedesca, per sua fortuna, felicemente immigrato negli Stati Uniti nel 1934: Otto Preminger (1906-1986). Il quale, dopo esperienze di produzione e di regia in Europa e in America, trovò qui la consacrazione hollywoodiana. Nella sua carriera si ritrovano molti altri film assai noti: "Seduzione mortale"(1952), "La vergine sotto il tetto"(1953), "La magnifica preda"(1954), "L'uomo dal braccio d'oro"(1955), "Anatomia di un omicidio"(1959), "Tempesta su Washington"(1962), "Il cardinale"(1963), "Bunny Lake è scomparsa" e "Prima vittoria" (entrambi del 1965) "E venne la notte" (1967), eccetera. Da un romanzo di Vera Caspary, mutato nella struttura ma conservato nell'impianto di fondo e abilmente sceneggiato da Jay Dratler e Samuel Hoffestein, Elizabeth Reinhardt ed anche Ring Lardner Jr. (seppure non citato), "Vertigine" nacque quasi come un film di serie B e col passare degli anni è diventato un classico del cinema "noir". Tutto ruota intorno a tre personaggi: Laura Hunt (Gene Tierney - 1920-1991- doppiata da Rina Morelli), il tenente McPherson (Dana Andrews - 1909-1992 - doppiato da Mario Pisu), Waldo (in italiano Walter) Lydecker (Clifton Webb, doppiato da Sandro Ruffini). Poiché il film è "anche"un giallo non anticipo nulla sulla trama, che vede McPherson e Lydecker egualmente affascinati dalla figura di Laura (la quale inizialmente sembra una vittima). La struttura del film è astutamente ambigua, oscillando fra le scadenze strette del giallo e quelle più trasognate di un cinema onirico. Raccomando allo spettatore di tener d'occhio la straordinaria interpretazione di Clifton Webb (1889-1966, nome d'arte Webb Parmalee Hollenbeck), il quale disegna la figura sofisticata di un noto giornalista, snob, colto, ironico e sprezzante, rivelando un talento che allora molti non supponevano esistesse in un uomo conosciuto soprattutto come ballerino e cantante (diventerà famoso nei panni, inaspettatamente comici, di Mr. Belvedere, scrittore, ballerino e "baby-sitter"). Di Dana Andrews, tipico divo d'epoca, ho fatto ampiamente menzione parlando de "I migliori anni della nostra vita". Ancora tre precisazioni. L'una riguarda il Dvd su cui ha lavorato Doretti e che è edito dalla Twentieth Century Fox. L'ho comprato sul sito internet Fnac pagandolo euro 9,99 più spese di spedizione e contrassegno. Contiene tre inserti molto circostanziati e molto lunghi a cura di David Raksin, autore delle musiche e quindi anche della famosa canzone "Laura", Jeanine Basinger e del giornalista Rudy Belhmer. Tutti apporti molto interessanti per un appassionato. La seconda notazione riguarda un particolare che mi ha molto colpito, e che contraddistingue con un tono di estrema curiosità l'adattamento italiano del film. Verso la fine la voce di Lydecker cita un poeta di nome Dowson (presumibilmente è Ernest Cristopher Dowson, 1867-1900) di cui recita, ovviamente in inglese, alcuni versi (inizia con "Brief life. They are not long. The weeping and the laughter. Love and desire and hate I think they have no portion in us. After we pass the gate …"). Incredibilmente nella versione italiana si dice che il poeta prediletto non è Dowson ma è D'Annunzio ( negli Stati Uniti del 1944!!!!) e Sandro Ruffini recita alcuni versi: "Quando nell'alba i fuochi siderali si spengono, (…) la Morte (…) poggiata la sua falce adamantina, guarda l'amor nel sonno e poi si inchina…"). E' la prima volta che mi capita di trovare una cosa del genere in un doppiaggio italiano, e perciò mi pareva fosse necessario segnalarla. Doretti ha abilmente rintracciato il testo di D'Annunzio, "La Visitazione", contenuto in "L' Isotteo- La Chimera" (1889), quando l'autore, nato nel 1863, aveva soltanto 26 anni ma era, credo già famoso. Terza e ultima annotazione, che vale come un'esplicita richiesta di scuse, per un mio errore di pronuncia. Avendo notato che gli americani pronunciano "Préminger", con l'accento sulla prima "e", avevo creduto di essere furbo e di ristabilire una corretto suono tedesca pronunciando, nella registrazione, il nome del regista "Premìnger" (con l'accento sulla "i"). Questa, comunque, è l'intenzione che ho avuto iniziando a parlare al microfono. Il giorno dopo sono stato colto da dubbi ed ho telefonato alle due sedi che il Goethe Institut ha a Genova ed ho chiesto lumi. In entrambi gli uffici due diverse impiegate, palesemente tedesche, mi hanno detto invece che la pronuncia corretta è più complicata (per me difficile da riprodurre) e, comunque, contrassegnata da un suono sfumato e quasi "inghiottito" della finale in "ger". Pertanto, in ogni caso, la mia pronuncia è sbagliata ed ecco perché mi scuso.

A DOMANDA RISPONDE

Rispondo qui a tre post pervenuti il 19/05/2012 in seguito al precedente a “Domanda risponde”. Ringrazio come sempre Rosellina Mariani presente qui con due interventi lusinghieri. Il post del Principe Myskin è molto lungo e articolato. Son contento che complessivamente “L’uomo ombra” gli sia piaciuto. La sua interpretazione del titolo mi pare esatta. La ripetizione dell’espressione “uomo ombra” in tutti i titoli della piccola saga ha esattamente la natura meramente imitativa che hanno assunto da noi le molteplici eredità in “opoli” del neologismo “tangentopoli”. Il titolo ha le stesse caratteristiche anche nell’originale, con la differenza che “The Thin Man” e cioè “L’Uomo sottile” è sicuramente meno romanzesca della versione italiana. Veniamo agli interrogativi cinematografici, sempre del Principe Myskin, e come d’abitudine abbastanza intriganti. Su Kieslowski preferisco non pronunciarmi, anche se a suo tempo ho registrato una serie di presentazioni per molti film del regista polacco editi in DVD dai Paolini. Non le ho mai considerate importanti, anche se qualche tempo fa è venuta a trovarmi un giovane di Sarzana il quale mi tributava riconoscenza perché si era laureato con una tesi appunto su Kieslowski per la quale avevo utilizzato soprattutto i miei interventi in video (a volte sono colto da un dubbio. Per caso non sarò mica intelligente?) Comunque, dato che non voglio turbare il sonno del Principe, provvederò ad inserire “Breve film per uccidere” nell’elenco di competenza. Egli avrebbe voluto vedere inclusi nell’elenco dedicato a Kurosawa “L’idiota” e “Sogni”. Mi riservo di studiare meglio il problema, perché forse andrebbe inclusa nella lista l’intera filmografia del grande regista giapponese, senza discutere titolo per titolo. Infine il Principe Myskin mi pone un complicatissimo quesito riguardante “C’era una volta in America”. Personalmente non saprei rispondere ma vedrò se riuscirò (futuro ma implicitamente anche condizionale) l’unico specialista di Sergio Leone che io conosca, cioè Oreste De Fornari. Rispondo ora a un Post della sempre presente Rosellina giunto il 19/05/12 dopo la pubblicazione di “Il Bianco perde il Banco”. Essa mi ricorda che da bambina parlava (in portoghese) con la tata nera e giocava con un bambino nero senza porsi problemi di sorta. Evidentemente sotto questo profilo il Brasile è un paese ideale per ciò che concerne la convivenza fra le diverse razze umane. “il cammino cinematografico(e navale) di Callisto Cosulich” del 24/05/12 ha provocato un lungo e appassionato intervento di Giulio Fedeli, che mi riempie di elogi, mi nomina membro ad onorem dei cosidetti “Cap Hornier” (cioè di quelli che hanno doppiato Capo Horn a vela), mi iscrive come ligure nella catena Montale-Sbarbaro-Barile e mi chiede un piccolo elzeviro dedicato a Dino Basili. Purtroppo la cosa non è possibile: l’ho solo incontrato una volta in maniera fuggevole, mi ricordo che aveva su “Studi Cattolici” una rubrica intitolata “Piazza Quadrata” (è il nome che abitualmente i romani danno a Piazza Buenos Aires) e non ho mai letto i suoi scritti e i suoi aforismi abbastanza bene per poterne scrivere. Ringrazio Fedeli per l’impeccabile “garde-à-vous”e gli rispondo “Vous pouvez disposer!”. Anche qui la solita, entusiastica missiva di Rosellina, presente anche con molti altri post in occasione di diversi miei scritti. Quello del 30/05/12 intitolato “Terremoti di oggi ma anche del passato” ha provocato, in particolare, una gentile e accorata missiva di Davide Barranca, il quale ha dovuto lasciare la sua casa di campagna a Crevalcore e spostarsi a Bologna in cerca di più sicurezza. Mi pareva doveroso menzionare l’Emilia e, ancor più, sarebbe stato elogiare il coraggio e la rotonda fermezza degli emiliani intervistati (se le interviste televisive riguardano immigrati meridionali o stranieri mi sembra che le tonalità sia più accorate e le riflessioni più disperate). Proprio nel Corriere della Sera di oggi 1/06/12 c’è un bell’articolo di Arrigo Levi per rivendicare i meriti della sua terra e dei suoi abitanti. Nato in una famiglia ebrea emiliana da quattro secoli e poi costretto nel 1938 a rifugiarsi in Argentina, Levi conserva un profondo legame sentimentale con Modena e con la sua regione e lo testimonia in queste sue righe piene di affetto e di nostalgia.