Blog - Crediti


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29 agosto 2011

A DOMANDA RISPONDE

PER ORA DUE POST CHE RIGUARDANO ELIA KAZAN

Prima risposta per l' affezionato PuroNanoVergine.
Per quel che riguarda l' indicazione della lunghezza del pezzo in battute credo sia da un lato un mero riflesso professionale. Infatti nell' era del computer gli articoli si misurano prevalentemente in battute e non in cartelle, come accadeva ai tempi della macchina da scrivere. E dall' altro la cifra in battute dà comunque un' idea delle dimensioni. Nel caso di Kazan probabilmente eccessive, ma mi sono lasciato trascinare dal piacere di scrivere, dimenticandomi anche di insistere un po' di più sulla figura e sulla partecipazione al programma di Martin Scorsese, un regista che seguo sin dal primo film: " Chi sta bussando alla mia porta ?" ( "Who's that Knocking at My door ?" 1969) e che da allora mi ha sempre incuriosito, e sono passati più di quarant'anni.
La richiesta di una telefonata a Michel Ciment è un' idea curiosa e incuriosente. Ho paura che la necessità di tradurre dal francese all' impronta frase per frase ( io sono in grado di farlo) renda il tutto un po' noioso. E poi dovrei rintracciare Michel che non sento da anni.....In effetti è un' autorità su molte cose e particolarmente su Kubrick. Con il quale avevo un' ampia dimestichezza e con il quale si telefonava spesso. Come si sa Kubrick era un personaggio molto strano. Una volta Michel mi raccontò che si era stupito perchè questi aveva sempre lo stesso numero di telefono. " Ma io non lo cambio mica" rispose Ciment stupito. E scoperse che Kubrick aveva l' abitudine di farlo ogni pochi mesi ( probabilmente per non lasciare traccia). Michel mi raccontò anche che Kubrick, il quale cercava di non uscire mai di casa perchè notoriamente soffriva di agorafobia e se lo faceva si sentiva male ( credo che gli sia capitato in occasione del matrimonio della figlia a Londra) anche in casa viveva in modo " protetto ". Al punto che nella sua grande abitazione aveva fatto costruire, penso grazie a muri speciali, un itinerario privilegiato che gli consentiva di non incontrare nessuno. Come noto, viveva da molti anni in una villa nella campagna inglese e una volta che dovette tornare a New York lo fece via mare ( credo avesse paura dell' aereo) e fece installare delle moviole su piroscafo per poter lavorare tranquillamente.
Comunque l' idea di telefonare a Michel mi è rimasta in mente e ci penserò su.

La notazione di Enrico il quale ricorda il viso di Nick Nolte impassibile di fronte alla "standing ovation" per la consegna dell' Oscar a Kazan, mi è parsa toccante.
Aspetto altri "post" e naturalmente " scriptum"!

26 agosto 2011

Commenti su un importante “Libro – Dvd”

Moviola personale:

lodi per Kazan, Scorsese e per la Cineteca di Bologna

Come si dice buffamente in francese “ Commençons par le commençement”, ovvero, “ Cominciamo dall’ inizio”. Non molto tempo fa lessi una bella recensione di Goffredo Fofi, apparsa il 18 agosto u.s. nel pregevole supplemento domenicale del “Sole – 24 ore”. Nonostante i nostri percorsi personali divergano quasi totalmente, e non ci si veda mai, fondamentalmente mi fido dell’ acutezza mentale di Fofi, con il quale ho anche scritto a tre mani un libriccino su Georges Simenon. Fofi segnalava molto favorevolmente un libro con Dvd – il libro si intitola “ Elia Kazan, appunti di regia”, curato da Robert Cornfield e il Dvd “ A letter to Elia” di Martin Scorsese – editi in un unico cofanetto nella collana “ Il cinema ritrovato” a cura della benemerita Cineteca Comunale di Bologna, l’unica Cineteca italiana che riesca a tenere aperte tutto l’anno due sale cinematografiche, le quali in certe occasioni diventano quattro senza contare la platea estiva di Piazza Maggiore con più di tremila posti. Vorrei ancora ricordare che “Il cinema ritrovato” è una splendida manifestazione annuale - dura da ben 25 anni e si occupa sia del cinema muto che di quello sonoro - grazie alla quale è nato a Bologna il primo laboratorio italiano, specializzato nel restauro dei film. Che ha consentito sino ad ora di realizzare più di mille interventi, recuperando vecchi film sino a quel momento invedibili. Insieme alle “Giornate del cinema muto” di Pordenone (centrate, come dice il nome, su un frammento essenziale della storia delle immagini filmate) quella di Bologna è probabilmente una delle massime iniziative per il recupero del cinema che esistano in Europa. In Italia vi sono tante cose brutte e deplorevoli ma quasi in egual misura vi sono lodevoli iniziative che compattamente gli italiani ignorano e che hanno più estimatori all’ estero che da noi, e qualche volta fa piacere parlarne e scriverne.

Le lodi di Fofi mi hanno incuriosito, ho telefonato al mio amico Gian Luca Farinelli, da diversi anni Direttore della Cineteca ( il Presidente è Giuseppe Bertolucci, regista e sceneggiatore, fratello minore di Bernardo). Gian Luca affettuosamente mi ha subito inviato il libro – Dvd che mi è parso, come a Fofi, opera lodevolissima. Il volume, con l’ottima cura editoriale di Paola Cristalli, raduna una prefazione di Martin Scorsese, una introduzione di John Lahr e, a cura Robert Cornfield, un ritratto di Elia Kazan regista. Poi, soprattutto, contiene un lungo capitolo intitolato “Appunti di regia”, nell’originale “Kazan on Directing”, quasi 300 pagine dedicate appunto sia al teatro che ai film di Kazan. In ognuno di essi si va per opere e per momenti della vita del regista, sia nel teatro che nel cinema, oltre a numerosi altri capitoletti che completano il ritratto ed offrono moltissime occasioni di riflessione autobiografica dello stesso Kazan. Quel che rende il libro di straordinario interesse sono i frammenti di diario e di autobiografia, che hanno ovviamente molte fonti, una delle quali è sicuramente l’eccellente opera specialistica dedicata a Kazan dal grande critico francese Michel Ciment ( il quale, sia detto incidentalmente, è un vecchio amico che purtroppo non vedo dai tempi della mostra di Venezia). A questo punto vorrei ricorrere a mie precedenti esperienze. In effetti frugando nella memoria del computer ho scoperto ( per merito di Elisa) di avere scritto in passato già due lunghi brani su Kazan: uno, mi pare di capire, per “ La Rivista del Cinematografo” e l’altro non so se per la stessa o per altra destinazione. L’uso del computer, sempre che uno si ricordi quel che ha scritto, è indubbiamente comodissimo, visto che basta pescare nell’ archivio per procedere a ciò che si chiama “ copia e incolla”. Ho riletto i miei testi riscoperti (sicuramente di diversi anni fa) ed ho deciso di reimpastarli qui, nell’ attuale versione. Vorrei quindi riepilogare quella che fu la mia prima impressione dell’ opera di Kazan riallacciandomi a quello che scrissi all’ epoca.

Il primo ricordo che ho di Kazan risale all'immediato dopoguerra quando, al Nord, arrivarono compattamente gli infiniti film americani amministrati dal P.W.B (Psychological Warfare Branch), e noi adolescenti bruciammo pellicole in quantità industriali, recentissime e meno recenti, in un calderone di bramosia giovanile. E così vidi, e mi fece un grande impressione, di nitore, di eleganza figurativa e di sensibilità sociale, "Un albero cresce a Brooklyn" ("A Tree Grows in Brooklyn", 1945), appena sfornato, con quella sua trepida storia di una ragazza cresciuta nella New York popolare e irlandese dell'inizio del secolo, e con quegli splendidi attori americani di una volta: Dorothy McGuire, Joan Blondell, James Dunn, Peggy Ann Garner, Lloyd Nolan, e non sono che i maggiori. Volti e voci, (quando i film erano distribuiti, allora accadde spesso, in originale e sottotitolati), che ci riportavano, dopo tanto cinema autarchico, il sapore di mondi e persone sognate per un quinquennio. Di quel regista dal nome bizzarro e tronco - solo anni dopo apprendemmo che i suoi genitori, greci dell’ Anatolia, nel 1913 erano emigrati a New York dove il padre aprì un negozio di tappeti e dove Elia crebbe all'interno della colonia ellenica - non ci saremmo dimenticati mai più. Apprendemmo anche che quello era il suo film d'esordio, che veniva dal teatro, che negli anni '30 e nei primi anni '40 aveva fatto parte del Group Theatre, fondato da Lee Strasberg e Harold Clurman. Da cui nacquero gli stimoli che poi nel 1947 portarono Kazan, insieme a Cheryl Crawford e Robert Lewis, a dar vita ad una scuola destinata a diventare rapidamente famosa, l'Actor's Studio, in cui Lee Strasberg ebbe una importanza fondamentale. E che in quell'ambiente politicamente di sinistra e artisticamente all'avanguardia si era formato facendo un po' tutti i mestieri della scena (inizialmente ebbe successo come attore “giallo”) giungendo infine ad imporsi come uno dei migliori registi teatrali di Broadway. Il suo primo contatto col cinema, dopo alcune esperienze giovanili, fu appunto quello di far l'attore in due film di Anatole Litvak. Poi venne l'occasione del film prima ricordato, già straordinariamente maturo per essere un'opera prima, che lo fece subito notare. Nel 1947 e negli anni seguenti, a grappolo, l'eccellente "Boomerang - L'arma che uccide" ("Boomerang", 1947), un thriller prodotto da Louis De Rochemont", maestro di tutti i produttori realisti americani d'epoca e con la migliore interpretazione che ci abbia mai dato Dana Andrews; "Mare d'erba" ("Sea of Grass", idem) con una coppia famosa, la Hepburn e Tracy; "Barriera invisibile" ("Gentleman's Agreement", idem) con Gregory Peck, centrato sull'antisemitismo strisciante di tanta parte della buona società americana; "Pinky la negra bianca" ("Pinky", 1949), sui neri che passavano la frontiera del colore, tema un tempo ossessivo in America ed ormai dimenticato; l'ottimo "Bandiera gialla " ("Panic in the Streets", 1950), ove Richard Widmark ufficiale sanitario portuale che cerca di rintracciare a New Orleans il portatore di un micidiale contagio - al suo fianco esordiva nel cinema Jack Palance - è da par suo al centro di un impeccabile aneddoto poliziesco. Infine nel 1951 Kazan pagò il suo debito al teatro,filmando "Un tram chiamato desiderio" (“A Streetcar Named Desire”, 1951, da TennesseWilliams) con Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter; con i primi due lo aveva già portato sul palcoscenico nel 1947. Le due attrici ricevettero entrambe l'Oscar, come protagonista femminile e come caratterista. Nel 1952 Kazan ha 43 anni. E' famoso ormai anche nel cinema e con relativamente pochi film è già diventato un collezionista di "nominations" e di "Oscar" veri e propri. Il film d'esordio ne aveva ricevuto uno per James Dunn miglior caratterista, "Barriera invisibile" ben tre (il film, Kazan e Celeste Holm miglior caratterista) ed altri ancora lo aspettavano negli anni successivi. Ma il 1952 fu l’anno di “ Viva Zapata!” (un Oscar per Anthony Quinn come migliore attore non protagonista e molte celebrazioni per il carattere “ rivoluzionario “ del film) ma anche l’ anno del controverso “tradimento” del regista.

Kazan, che in gioventù era stato comunista per qualche anno, venne infatti convocato davanti alla cosiddetta “HUAC” (House Un-American Activities Committee) cioè alla Commissione della House of Representatives (la Camera dei Deputati) fondata nel 1938 e abolita nel 1975, incaricata di indagare sulla infiltrazione comunista, in particolare nel mondo del cinema. Fu quello il periodo di più ampia incidenza nella vita pubblica americana del cosiddetto “maccartismo”, fenomeno politico che prende il nome dal senatore repubblicano Joseph McCarthy ( 1908 -1957) il quale scatenò una furiosa “caccia alle streghe”, soprattutto nel mondo della politica accusando moltissimi alti funzionari del Dipartimento di Stato (il Ministero degli Esteri) di essere comunisti o al servizio del comunismo. Il periodo più clamoroso del maccartismo, iniziato pressappoco nel 1947, terminò di fatto il 2 dicembre 1954 quando il Senato votò, con 67 voti contro 22, una censura contro McCarthy per “condotta contraria alle tradizioni” della Camera Alta americana ( in tutta la storia di quell’ assemblea era solo la terza volta che una decisione del genere veniva adottata). È chiaro che tutto quel che avvenne in questo ambito e in quegli anni nella politica americana è riconducibile al Senatore McCarthy. Tuttavia in senso stretto le competenze riguardanti il mondo dello spettacolo furono della “HUAC”, e quindi, come ho già scritto prima, della House of Representatives, mentre McCarthy era senatore e si muoveva nell’ambito del Senato. Tanto è vero che i Presidenti di Commissione che via via si succedettero alla HUAC furono tutti membri della Camera.

Fuori di dubbio quello del maccartismo fu sicuramente un periodo buio nella storia postbellica della democrazia americana, e ormai molti libri ed alcuni film ci hanno descritto la sorte dolorosa di registi e sceneggiatori moralmente e professionalmente distrutti, costretti ad un frettoloso espatrio, al silenzio e non di rado alla prigione. O, nel migliore dei casi, a lavorare sotto pseudonimo. Furono, credo, alcune migliaia le persone dell’ ambiente del cinema entrate nell’ occhio della Commissione, in diversi casi costretti all’ esilio ( fra i tanti Joseph Losey) oppure, per anni, ridotti a mendicare collaborazioni, scrivendo sceneggiature con nomi falsi (precedente che è stato rievocato ormai in diversi film americani). Alcuni assai significativi a questo riguardo. Ad esempio ”Come eravamo” di Sydney Pollack del 1973, “ Il Prestanome” di Martin Ritt del 1976, ( Ritt, lo sceneggiatore Walter Bernstein e l’ attore Zero Mostel erano stati tutti “ Blacklisted”) e nello stesso 1976 “ Il maratoneta” di John Schlesinger in cui alcuni hanno rinvenuto allusioni anti maccartiste. Nel 1988 ci fu “Labirinto mortale” di Peter Yates, sempre su sceneggiatura di Walter Bernstein, e nel 1991 “Indiziato di reato” di Irwin Winkler, ove nella figura del protagonista interpretato da Robert De Niro si è voluto rivedere proprio una esplicita allusione a Joseph Losey, prima richiamato. Forse il film più recente sull’ argomento è una convincente prova del 2005 di George Clooney regista, “Good Night, and Good Luck”, premiato a Venezia per la sceneggiatura e l’ interpretazione di David Strathairn. In quel periodo l’ avvenimento più clamoroso forse, fra quanti riguardano il mondo del cinema americano, fu quello dei cosiddetti “Dieci di Hollywood”, sceneggiatori e registi additati alla pubblica deprecazione: fra di essi c’ erano Edward Dmytryk, Ring Lardner Junior e Dalton Trumbo.

In particolare Kazan, come si è detto, comparve davanti alla Commissione, per l’ esattezza il 14 gennaio del 1952. Ammise di essere stato membro del Partito Comunista ma si rifiutò di fare nomi. Tornò tuttavia spontaneamente il 10 di aprile e rivelò l’ identità di molti compagni di partito, compresi otto membri del famoso Group Theatre, a cui aveva ampiamente partecipato e che in certo senso originò l’Actor’s Studio: fra i nomi denunciati c’erano quelli di Clifford Odets e di Paula Strasberg, la moglie di Lee. Pur senza minimamente voler scusare quel che in modo isterico e rabbioso accadde nella Hollywood di allora, con grandi dimostrazioni di ipocrisia e di servilismo, va tuttavia ricordato che la guerra fredda era entrata già in un momento di estrema durezza. I partiti comunisti che gli Stati Uniti si trovavano contro nel mondo, a cominciare da quello dell' Unione Sovietica, davano prova, all'interno ed all'esterno, di una spietatezza ideologica senza mezzi termini. Di fronte a cui le persecuzioni realizzate in America nel mondo del cinema, in genere orribili, crudeli ed immotivate, avevano un'aria pressoché liliale rispetto all' universo dei Gulag e delle epurazioni in massa di nemici e dissidenti, che erano diventate, sotto Stalin (morì nel 1953), quasi una regola burocratica. Pochi anni dopo, la pubblicazione del Rapporto Krusciov (reso ufficiale nelle sedute del Congresso del Partito Comunista Sovietico del 24 -25 febbraio del 1956) doveva dar ragione alle perplessità ed alle ricusazioni a cui debbono forse e in parte addebitarsi i “tradimenti” di tanti comunisti degli anni Quaranta e Cinquanta. Comunque sia, Kazan uscì duramente provato da quella terribile esperienza, di cui egli stesso ha detto che ha diviso in due la sua esistenza, ma forse ancor più lucido nel giudicare se stesso e gli altri.

Ed ecco tutta la seconda parte della sua vita di regista. Nel 1953 “ Salto mortale”( Man on a Tightrope) con Fredrick March, Gloria Grahame, Adolphe Menjou. Dal 1954 al 1976 alcuni film di grande impatto di spettacolo, di grande successo e di grandissima furbizia di costruzione: "Fronte del porto" (”On the Waterfront” 1954) - ben 4 Oscar, miglior film, miglior regia, Brando e Eve Marie Saint -"La valle dell' Eden" (“East of Eden”,1955), "Baby Doll" (idem, 1956) "Un volto nella folla" (“A Face in the Crowd”,1957), "Fango sulle stelle" (“Wild River”, 1960), "Splendore nell'erba" (“Splendor in the Grass”,1961), "Il ribelle dell'Anatolia" (“America, America”, 1963: toccante bianco e nero per ricostruire la storia dei famigliari di Kazan in fuga verso l'America, e forse il suo film più dolorosamente autobiografico), "Il compromesso" (“The Arrangement”, 1969), "I visitatori" (The Visitors”, 1972), da una sceneggiatura del figlio Chris, "Gli ultimi fuochi" (The Last Tycoon”,1976). Dopo quest’ultimo film, tratto dall’incompiuto romanzo di Scott Fitzgerald, non ha più fatto cinema. Ma quel che ci ha raccontato – ha lasciato pochi romanzi, poi tradotti in cinema, ed una autobiografia del 1988 intitolata “Elie Kazan: A Life” - ed il modo in cui lo fatto, l'America che ha descritto e quella che ha immortalato, tutto quello straordinario patrimonio di volti, di scorci, di immagini non lo potremo mai dimenticare come non tradiremo mai quell'antica fedeltà nata negli incantati cinematografi della nostra adolescenza.

Vorrei ricordare che Elia Kazan era nato il 7 settembre 1909 in quella che si chiamava allora Costantinopoli, Impero ottomano, ed ora Istanbul, Turchia. Apparteneva ad una famiglia della minoranza greca dell’ Anatolia ed evidentemente il suo cognome – la versione normalmente accettata è “ Kazanjoglu ” o “Kanzanjoglus” - era stato “turchizzato”, dato che Joglu è un suffisso molto turco (mi ricordo che durante la guerra il Ministro degli Esteri di Ankara si chiamava “ Menemenejoglu”!). Kazan, che, come si è detto, era emigrato negli Stati Uniti con la famiglia all’ età di soli 4 anni, era in tutto e per tutto newyorkese e morì a Manhattan il 28 settembre del 2003. Ebbe due figlie e due figli e tre mogli. La seconda delle quali, l’attrice Barbara Loden, morta nel 1980, diresse un solo film, “Wanda”, che, presentato nel 1970 fuori concorso alla Mostra di Venezia, dove lo vidi, fu una vera e propria rivelazione. La terza moglie, Frances Rudge, sposata nel 1982 e credo tuttora vivente, è largamente intervistata negli “ extra” del Dvd insieme Al Pacino, Robert De Niro, Ellen Burstyn, Lois Smith, il grande Eli Wallach (classe 1915, Oscar alla carriera nel 2011) e Alec Baldwin. Essa ha scritto due libri e, credo dopo aver conosciuto il marito, si è specializzata in studi universitari sulla cultura turca.

A questo punto è doveroso far cenno dell’ interessante documentario contenuto nel Dvd del cofanetto. Si tratta di rivisitazione del cinema di Kazan, a cura come si è detto di Martin Scorsese e di Kent Jones, intitolata “ A letter to Elia”, in cui il regista italo – americano rievocata e ripercorre da par suo ( salvo forse il già ricordato “Pinky, la negra bianca”) tutta l’ opera dello stesso Kazan. Introducendo e anticipando i brani di film Scorsese scioglie un inno commosso non solo al regista che egli talmente ammira ma anche alla sua stessa infanzia ed adolescenza di quando andava a vedere i film di Kazan, negli ormai scomparsi cinematografi newyorkesi a 12 o a 15 cents. Dentro i quali letteralmente viveva. È un’ antologia raccomandabilissima che addito agli appassionati e che spero li soddisfi e li commuova come è successo a me. Ho già fatto cenno degli altri contributi “ extra” del Dvd. Mi limiterò qui a ricordare che vi è anche una lunga e appassionata intervista al regista tedesco, figlio di turchi, Akin Fatih, classe 1973, di cui molti film sono venuti in Italia ( “ Ai confini del Paradiso”, “ La sposa turca”, eccetera). L’ intervista consiste in un appassionato raffronto fra l’ opera di Elia Kazan e quella del regista turco Yilmaz Gűney ( si pronuncia “ Gunè”). Di lui in Italia è venuto, credo, solo un film, “ La rivolta” del 1983, (ma ne ha girato più di venti) ambientato in una di quelle carceri del suo paese che egli conosceva così bene: vi ha scritto cinque sceneggiature e vi ha girato almeno un film. Il brano della visita in carcere di Kazan a Gűney, pur sciatto, è da antologia. Ma tutto quel che dice Fatih Akin di Gűney (regista al quale il Festival di Lecce ha dedicato di recente una "personale") è estremamente interessante, a cominciare dalla spiegazione del perché Kazan e Gűney hanno fraternizzato. Erano entrambi figli di etnie minoritarie in Turchia, i greci ed i curdi ( è un argomento che andrebbe approfondito in base alla complessa origine etnica del padre del regista curdo, ma non voglio farla troppo lunga). Inoltre Akin sostiene che fra di loro Gűney e Kazan parlavano turco. Come abbia fatto Kazan, che, è vero, è nato a Istanbul da famiglia greca dell’Anatolia (e nel suo ambiente parlava greco) ma è andato in America all’ età di quattro anni, a imparare e ricordare il turco, è un autentico mistero. Degno di quell’ ampio mistero che circonda la vita del grande regista.

Per scrupolo vorrei ricordare che nel 1989 l’ American Film Institute si rifiutò, sempre a causa del famoso “ tradimento”, di onorarlo con un premio alla carriera. In compenso ricevette l’ Orso d’ Oro alla carriera al Festival cinematografico di Berlino e, finalmente, nel 1999 l’ Oscar alla carriera a Hollywood. Quando morì Kazan aveva 94 anni: poche persone nel mondo del cinema possono dire di avere avuto una vita intensa, combattiva, avversata e insieme favorita, come la sua.

( battute: 19.317)

18 agosto 2011

Considerazioni su Comuni, Province...

Considerazioni su Comuni, Province e Regioni

I Prefetti, i Carabinieri, il Tricolore con e senza stemma, e molti altri argomenti di moda, fra cui una doppia citazione di Giuseppe Conte

In attesa delle prossime telefonate (le sto preparando ma debbo aspettare dopo Ferragosto, quando Lorenzo Doretti sarà di ritorno dalla montagna, da Santa Margherita e dal Palio dell’Assunta e gli “interrogandi” torneranno in sede) avrei alcune osservazioni da formulare, in particolare su un “processo pubblico” al Conte di Cavour, narrato nel “ Corriere della Sera” e su un articolo di Giuseppe Conte, apparso nel Secolo XIX, a proposito delle rivolte in certi quartieri di Londra e di altre città inglesi. Inoltre voglio far cenno di un mirabile libro-DVD, una splendida antologia. orchestrata e commentata da Martin Scorse, e dedicata a Elia Kazan.

Prima però vorrei scrivere qui qualche rilievo a proposito della proclamata, anche se per ora non completamente articolata, abolizione total-parziale delle province e sui futuri compiti delle Regioni. Si tratta di questo: ho la sensazione che i politici italiani, di destra e di sinistra, non abbiano le idee chiarissime sulla successione storica che ha portato alla creazione delle Prefetture. Esse risalgono, ovviamente, al Regno di Sardegna, le cui istituzioni vennero trasferite di peso nel 1861 nell’ appena costituito Regno d’ Italia. Se i politici non lo sanno è perché tutta la celebrazione dell’ unità d’Italia viene vissuta all’ interno di una sprezzante povertà di informazioni, per cui tutto il passato della storia unita del nostro Paese è stato annesso senza menzione. Ad esempio tutto quel che è successo dal 1861 al 1946 viene detto o non detto, senza mai specificare di chi fosse la responsabilità, almeno teorica, e sotto quale bandiera ( il Tricolore, certo, ma con lo stemma sabaudo) si sia svolto quel che si è svolto. In sostanza dal 1861 ad oggi sono appunto 150 anni, di cui 85 sotto la Monarchia e 65 sotto la Repubblica. Ma il primo periodo è stato completamente cancellato, per cui si finisce con il dar ragione a Gianni Morandi il quale in una demente dichiarazione, resa credo in un luogo pubblico, se non in televisione, una volta disse con gioia che nel 2011 si festeggiavano i 150 anni della Repubblica. Cancellati, quindi, cantando, 4 Re (Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III, Umberto II). La qualcosa farà forse piacere ad Emanuele Filiberto ma soffre di una penosa inesattezza storica, che peraltro trova conferma in tutte le attuali celebrazioni dell’ Unità. Non solo ci si annette sfrontatamente il passato ma lo si fa senza precisazioni. Ad esempio si festeggia l’ anniversario del tale Corpo militare o para-militare ma, se la data di fondazione, è superiore ai 150 anni non si precisa che l’ avvenimento si è svolto all’ interno del Regno di Sardegna. Le cui istituzioni vennero “ traslocate” pesantemente nel nuovo Stato, mentre non si ereditò nulla dagli Stati precedenti: salvo la Nunziatella non mi risulta, ad esempio, che siano stati conservati reparti, formazioni, nomi di reggimenti eccetera, dell’ esercito delle Due Sicilie. Il quale magari ha fatto brutta figura con Garibaldi ma non merita il disprezzo con cui l’ abbiamo sempre circondato.

Ora la ventilata abolizione di molte Province implicherebbe la contemporanea sparizione dei Prefetti, le cui giurisdizioni con esse generalmente coincidono. E i Prefetti costituiscono una decisiva saldatura fra l’ Italia del passato e l’ Italia di oggi. Molti non si chiedono neppure perché essi esistono, ma la ragione è semplice e molto interessante. Risalgono infatti a Vittorio Emanuele I il quale, nel 1814, al ritorno dal lungo esilio in Sardegna, si trovò a reggere un Piemonte ( il Congresso di Vienna gli regalò anche la Liguria) profondamente mutato a causa dell’ esperienza napoleonica. Quando, appunto assieme alla Liguria stessa, era stato incluso senza complimenti nei confini della Francia. Al contrario della Lombardia (che divenne il centro di quel Regno d’Italia di cui Napoleone si attribuì la corona, delegando il “ viceato” al fedele Eugenio di Beauharnais, figlio di sua moglie Giuseppina) Piemonte e Liguria divennero dunque due ragioni francesi ed ebbero quindi diritto ad essere amministrate dai funzionari che lo stesso Napoleone aveva posto a capo dei “ dipartimenti”(il termine esiste tuttora in Francia) . Funzionari statali, fondamentali per la conduzione periferica di uno Stato fortemente accentrato e accentratore, come era la Francia napoleonica. Appunto tornando a Torino Vittorio Emanuele I scoperse Prefetti e Prefetture , li trovò utilissimi e decise di conservarli e di adattarli alle esigenze del Regno di Sardegna. Rivelatasi localmente fondamentali nella sorveglianza del territorio essi divennero decisivi nell’ Italia unita: sotto Giolitti, ma anche prima e dopo di lui, Mussolini compreso, i prefetti ebbero rapporti decisivi con gli amministrati e gli eletti locali. Caratteristiche formalmente ereditate senza sfumature dalla nostra Carta costituzionale e di fatto in parte conservate anche ai nostri giorni, insieme all’ altra fondamentale istituzione, involontariamente rinvigorita da Napoleone, che furono i Carabinieri. Scoprendo le Prefetture Vittorio Emanuele I scoperse anche l’essenziale funzione di quel Corpo insieme civile e militare che Napoleone aveva irrobustito in Francia, ereditando in parte le antiche funzioni della “Maréchaussée”. La quale rimontava addirittura al 1337, nel 1791 fu ribattezzata “Gendarmerie Nationale” e poi Napoleone la ingrandì e la usò ampiamente. Il Re di Sardegna fu così colpito dai gendarmi installati in Piemonte che decise di “ replicarli” nei suoi domini e “inventò” i Carabinieri Reali, emanando il 13 luglio 1814 le Regie Patenti che li istituivano, successivamente integrate con quelle emanate il 15 ottobre 1816. Non a caso il primo comandante apparteneva ad una famiglia savoiarda fedele a Casa Savoia, i Thaon de Revel (più tardi sono stati italianizzati e la “de” è diventata “ di”), successivamente molto nota per aver dato l’ ultimo Grande Ammiraglio della Regia Marina. La particolarità dei Gendarmi e quindi dei Carabinieri (l’ Arma per eccellenza) è quella di essere al tempo stesso un corpo civile e militare, particolarità che consente un impiego multiplo rispetto alle ordinarie forze di polizia, e che non a caso è stato replicato in altre nazioni: in Spagna con la Guardia Civil, in Portogallo con la Garda National Republicana, in Olanda addirittura con la Maréchaussée (si chiama proprio così, con l’ antiquato nome francese). Tutti questi corpi sono riuniti in una forza europea chiamata EGF o Eurogendfor ( Forza di gendarmeria europea) di cui dal 3 marzo 2009 fa parte anche la Gendarmeria Rumena. Va detto che vi sono altri due corpi che attendono di far parte dell’ EGF, e cioè la gendarmeria militare della Polonia e la “Viesojo Saugumo Tanyba” della Lituania ( non so che cosa voglia dire il nome ma mi sembra romanzesco). Infine vi sono paesi non ancora membri dell’ Unione Europea ove esistono forze di Gendarmeria e cioè la Serbia, la Moldavia, la Bielorussia senza contare la Turchia dove il Corpo si chiama “ Jandarma”, con la tipica europeizzazione di molti nomi della lingua turca, che presumibilmente risale all’ opera e al ricordo di Kemal Atatűrk. Credo che non molti lo sappiano ma il comando dell’ EGF ha sede a Vicenza, presso la Caserma dei Carabinieri “ Generale Chinotto”. Il coordinamento si chiama CIMIN, Comitato Interministeriale dei Ministri degli Esteri e della Difesa degli Stati membri della EGF. Dal 2005 i comandanti sono stati il Generale di brigata francese Gérard Deanaz, il colonnello dei carabinieri Giovanni Truglio ed è attualmente in carica il colonnello portoghese Jorge Esteves della Garda National Republicana.

Se un problema decisivo posto dalle nuove disposizioni approvate dalla Camera è appunto quello della ( parziale) abolizione delle Province un altro problema decisivo è quello dell’ implicito rafforzamento delle Regioni. Mentre scrivo non tutti i dati in proposito sono sicuri, dato che sino ad oggi disponiamo soltanto di un Decreto Legislativo del Consiglio dei Ministri. Ma è certo che entrambi i problemi pongono molti interrogativi. Può darsi che le Province siano così superflue come viene affermato adesso ma è certo che per molti di noi costituiscono un rinvio automatico ed un facile sistema di investigazione ( dov’è il Comune di XXX? Ah sì, è in Provincia di Potenza). Ancor più forte quando le targhe delle automobili recavano il simbolo delle Province e le possibilità di individuazione o di estraneità erano quasi istintive.

Le Regioni sono una istituzione prevista dalla Costituzione del 1948 ma faticosamente realizzata solo nel 1970 ( mi ricordo ancora l’ appassionata polemica antiregionale di Giovanni Malagodi) ed ora scaltramente difesa dalla Lega che vive nel mito della Padania. In realtà vi sono Regioni organiche ed altre che non lo sono per nulla. Ad esempio le Marche che cominciano romagnole e finiscono abruzzesi. Oppure la mia Liguria che a Ponente è quasi occitana mentre a Levante si identifica praticamente con la pseudo - Toscana di Massa Carrara. Non è un caso che proprio in Liguria la prevista abolizione delle Province di Imperia e di Savona da un lato e di La Spezia dall’ altro abbia provocato dichiarazioni irredentiste dei sindaci e dei politici locali, sia di centro - destra che di centro – sinistra.” Mai sotto Genova!” ha tuonato il sindaco di La Spezia ( città semi - ligure inventata dal Conte di Cavour, persona di cui l’ attuale Repubblica italiana preferisce dimenticarsi il più possibile) mentre dall’ altra parte, con l’ esplicita approvazione di Scajola, si avanza l’ ipotesi di formare un’ unica Provincia saldando insieme quelle di Imperia, Savona e Cuneo e, se possibile unendovi anche Nizza. Non so che cosa ne pensi Sarkozy ma sino al 1860 la Contea di Nizza era una specie di piccola capitale rispetto a Ventimiglia, Porto Maurizio, Oneglia e San Remo e si può dire che fino al 1940, e prima che a Ponente arrivassero compattamente i calabresi, la saldatura fra quel frammento di Liguria e quel frammento di Provenza fosse profondamente confitta nella psicologia delle persone.

Sono tutti argomenti che vorrei anche riprendere se fossi sicuro che interessano a qualche lettore.

P.S. Mentre stavo correggendo le bozze di questo pezzettino ho letto un articolo di Giuseppe Conte, sul Secolo XIX di oggi 18 agosto, intitolato “Riforme, poltrone e “secessioni”- La mia Liguria e i politici ridicoli”. Inizia in prima pagina e si conclude in penultima, così come accade con gli articoli di fondo. Riguarda appunto il tema della “ rivolta” ligure, di cui faccio cenno prima. Conte ritiene che “la possibile abolizione di enti di cui probabilmente il 90% dei cittadini non conosce le pertinenze e non vede l’ utilità”, ha provocato una “alzata di scudi …. a volte francamente ridicoli nella classe politica amministrativa, ed ha sollevato in Liguria “umori anti – genovesi presenti sotterraneamente da sempre”. Nella sostanza, ribadisce Conte, “la Liguria è una realtà culturale e sociale che vive di diversità” ma che ha un terreno comune “fatta di fasce di ulivi, di fichi e di limoni, della verticalità …..della vocazione al viaggio, della dura tensione etica, del cosmopolitismo”. E ricorda tanti nomi che ci sono cari da Boine, a Novaro, a Sbarbaro, a Caproni via via sino a Calvino, testimoni di una Liguria che non ha targhe ma “ che è spirito, energia di invenzione, capacità di sguardo” . Naturalmente Conte, che ha vissuto quindici anni a Nizza, sa benissimo che l’ ipotesi di formare insieme con lei un unico super Comune, unendola a Imperia, Ventimiglia e Cuneo, è lievemente ridicola, vista la profonda “francofilia” di cui sono caduti vittima i nizzardi da Napoleone III in poi, ove i compiacimenti para dialettali come il calcistico “ Issa Nissa” e il para politico “Nissa Rebella”, hanno poco fondamento in una Costa Azzurra saldamente ancorata a destra sulla costa ed a sinistra nell’ entroterra.

È un articolo molto interessante ( per tanti anni di giornale so che il titolo molto probabilmente non è dell’ autore ma di un redattore) su cui varrebbe forse la pena di ritornare.

Per ora mi è parso doveroso compiere almeno una citazione di merito.(Claudio G. Fava).

(battute numero 12.179).