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4 marzo 2010

Luciana Frassati, testimone sconosciuta


(Nella foto qui sopra: Luciana Frassati insieme all'amato fratello Pier Giorgio)


Ho scritto per il “Secolo” un articolo su “Genova com’era – 1870-1915”, splendida antologia di fotografie d’epoca ordinate da Luciana Frassati, stampata originariamente in francese a Losanna nel 1960 con una bella prefazione di Eugenio Montale. L’edizione che posseggo io, a cura della Carige, è stata pubblicata a Genova nel 1987, ed è dedicata ad una Rosetta Doria, non altrimenti identificata, ma evidentemente facente parte della famosa famiglia marchionale. La dedica è firmata per esteso dall’autrice Luciana Frassati Gavronska, perché questa combattiva e intelligente piemontese (nata a Pollone, in provincia di Biella, il 15 Agosto 1902 e ivi morta ultracentenaria il 7 Ottobre 2007) ebbe una lunga carriera giornalistica e paragiornalistica, a proposito della quale la lettura del libro su Genova mi ha istigato ad indagare. Confesso di non aver saputo nulla della Frassati, ma di essere stato estremamente incuriosito, leggendo il suo libro, da una personalità poco comune, di cui pure non avevo mai sentito parlare. Era la terzogenita di Alfredo Frassati e della pittrice Adelaide Ametis. Frassati (nato anch’egli a Pollone il 28 Settembre del 1868 e morto a Torino il 21 Maggio 1961) fu uno di quei protagonisti del giornalismo italiano di cui ad ogni generazione ci si dimentica puntualmente. Figlio di un chirurgo, laureatosi in Giurisprudenza a Torino nel 1890, nel 1894 divenne comproprietario e condirettore de “La Gazzetta Piemontese” che decise di rilanciare, cambiandole il nome in “La Stampa” (il doppio nome venne tuttavia mantenuto per più di vent’anni, fino al 1908). Divenuto nel giro di breve tempo uno dei più famosi quotidiani italiani, “La Stampa” fu nelle mani di Frassati – ne divenne direttore e nel 1902 unico proprietario – uno degli strumenti che aiutarono Giolitti (Frassati venne nominato senatore nel 1913) a mantenere un potere reale sulla vita politica italiana, tant’è vero che alla fine della Grande Guerra, nel 1918, Frassati rifiutò la proposta di far parte di un Governo Giolitti, ma accettò anni dopo di diventare ambasciatore a Berlino. L’uomo politico aveva l’abitudine di rimeritare i suoi fidi promuovendoli ambasciatori, cosa che non usava nella diplomazia italiana dell’epoca. Fece lo stesso con un noto politico ligure, il patrizio Vittorio Rolandi Ricci, che aveva nominato a Washington e che durante il fascismo si era ritirato alla vita politica proprio per fedeltà giolittiana. A maggior ragione, nell’autunno del 1943 fece scalpore la sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, sostenendo egli che noi avevamo stipulato con i tedeschi un trattato di alleanza e che non potevamo pugnalarli alle spalle, passando nel campo opposto (tre dei suoi figli, il più giovane dei quali ha lavorato con me alla RAI, si arruolarono nella Decima Mas “repubblichina”).
All’ombra del padre Alfredo Frassati, Luciana si gettò tranquillamente nel mondo giornalistico ed insieme in quello politico. Laureatasi in legge all’Università di Torino come il padre, conobbe a Berlino e sposò un diplomatico polacco, Jan Gavronski, accreditato prima in Italia e presso il Vaticano, e poi nominato ambasciatore a Vienna dal 1933 al 1938. La sua posizione diede a Luciana Frassati la possibilità di conoscere ad alto livello la società austro-tedesca. Con due passaporti ed una cultura non frequente nelle donne della sua epoca, attraversò l’Europa dell’anteguerra con un’ampiezza di relazioni assolutamente insolita. Fu scrittrice e poetessa, ma anche testimone di un’epoca: il suo “Il destino passa per Varsavia” venne considerato da Renzo De Felice una testimonianza importante per comprendere come si svolse la crisi prebellica. In effetti, ebbe la possibilità di frequentare persone importanti e assai diverse tra di loro: si dice che sia stata buona amica di Alma Mahler, moglie del compositore, di Chaplin, di Wilhelm Furtwängler, di Max Reinhardt, di Arturo Toscanini, di Oskar Kokoschka. Tutto un mondo politico del tempo ebbe per lei un occhio di riguardo. Frequentò Von Papen, Ciano, Grandi, Giolitti protettore di suo padre, ma anche lo stesso Mussolini (che in genere non faceva granché caso alle donne come interlocutrici politiche e intellettuali) e il cancelliere Engelbert Dolfuss, detto “Millimetternich”, il quale impedì finché gli fu possibile l’annessione dell’Austria ad opera della Germania, e che poi fu ucciso dai nazisti. Al tempo stesso, riuscì molto attiva nella parte di moglie. Ebbe addirittura sette figli, di cui uno, Pier Giorgio, si chiamava come l’amatissimo fratello di Luciana, morto a 24 anni in odore di santità, che anch’egli scomparve ancora bambino. Ma gli altri figli, Jas, Nella, Wanda, Alfredo, Giovanna, Maria Grazia, le diedero quattordici nipoti. In particolare va ricordato Jas, giornalista e politico che gli italiani hanno conosciuto durante la sua lunga parabola RAI. La guerra venne affrontata da Luciana Frassati con sorridente aggressività. Alla caduta dell’Austria lei e suo marito lasciarono Vienna e tornarono a Varsavia, sino a quando la Polonia fu invasa dai tedeschi. La qualità delle sue relazioni, il rango diplomatico, perfino la buona conoscenza con Benito Mussolini, le consentirono una attività che pochi avrebbero potuto svolgere con la stessa intensità. Viaggiando tra Varsavia, Cracovia, Berlino e Roma, riuscì a portare in salvo opere d’arte e documenti ed a procurarsi centinaia di lasciapassare che permisero di far espatriare decine di famiglie polacche. Spacciò come sua bambinaia e la portò in salvo, la moglie del generale Sikorski, divenuto poi il capo del Governo Polacco in esilio e morto durante la guerra in circostanze misteriose nei pressi di Gibilterra. Sembra anche che riuscì a convincere Mussolini a darsi da fare per ottenere la liberazione di un centinaio di professori dell’Università di Cracovia. Come si vede, affrontò durante quegli anni terribili una serie di straordinarie prove in cui testimoniò di un coraggio e di una avvedutezza propri solo dei grandi eroi della Resistenza. Fino ai giorni nostri, Luciana Frassati, che si occupò profondamente del fratello Pier Giorgio e della sua memoria, continuò ad interessarsi del mondo coltivando la poesia e la memorialistica. Dal 1947 al 1987 pubblicò una ventina di libri diversi, che comprendevano poesie, testimonianze religiose, rievocazioni del passato (a fianco di “Genova com’era”, che ho già citato, ci furono anche nel ’58 “Torino com’era”, con prefazione di Mario Soldati) e, più largamente, testimonianze d’ogni sorta. Si pensi a “Un uomo un giornale” in sei volumi con introduzione di Gabriele De Rosa, pubblicato a Roma dal 1978 al 1982, grande omaggio alla figura del padre. Questi, dopo essere stato costretto a cedere “La Stampa”, disegnò per sé una nuova carriera e dopo il 1930 divenne presidente della società Italgas. Nel dopoguerra fu membro della Consulta Nazionale e fu nominato senatore di diritto della Repubblica nella prima legislatura (1948-1953). In quanto a Luciana, sembra che non abbia mai rinunciato a prendere note ed appunti per un libro purtroppo incompiuto, “Il mio secolo”, in cui voleva rendere giustizia ad alcuni personaggi. In primis Umberto di Savoia: “Era un grand’uomo” – diceva Luciana – “La storia e tutti lo hanno sottostimato. Avversò Mussolini e simpatizzò per la Resistenza”. Non sappiamo che cosa pensasse dei suoi discendenti ma non è difficile immaginarlo.
I legami con la Polonia durarono sino all’ultimo. Nel 1990 un polacco famoso, Giovanni Paolo II, ha riconosciuto le elette virtù morali di Pier Giorgio Frassati e lo ha proclamato beato. Nel 1993 Lech Wauensa, allora Presidente della Repubblica, insignì Luciana Frassati di una delle più importanti decorazioni del suo paese. Gli italiani non se ne accorsero e io stesso ci ho messo decenni a capirlo.


Claudio G. FAVA

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