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7 aprile 2009

C'è Berlusconi al telefono



La cosa andò esattamente così. Ero a Roma, in casa mia, in Via dei Gracchi (quartiere Prati, lo dico per collocare esattamente abitazione e sfondo) e mia moglie mi chiamò al telefono. “E’ per te – mi disse – è Berlusconi”. Eravamo nell’anno triste dell’arresto di Enzo Tortora, ovvero il 1983. Enzo era stato arrestato nel mese di Giugno ed io fui per mesi in contatto telefonico con il suo difensore, l’avvocato Della Valle, ripromettendomi di fare qualcosa di utile per un amico. Non ci riuscii e me rimase per sempre un senso di colpa. Giunti, se ricordo bene, ad Estate inoltrata, se non addirittura agli inizi dell’Autunno, ero stato incaricato da Pio De Berti Gambini, direttore di RAIDUE, di inventare una trasmissione che sostituisse in palinsesto la serata di “Portobello”. Doveva assolutamente riguardare la psicanalisi. Perché, non saprei dire (io non mi sono mai interessato di psicanalisi in via mia). Saldai l’idea del cinema con quella del dibattito successivo alla proiezione e legato ai temi di fondo del film, ed inventai un appuntamento settimanale dal titolo “La camera dell’inconscio” (è chiaro che la parola “camera” aveva un sapore bivalente che implicava anche quello di “macchina da presa”). Si prevedeva un film in prima serata, introdotto da una mia breve presentazione specifica e seguito da un ampio confronto fra giornalisti, romanzieri e specialisti d’ogni sorta, così da mettere in luce le eventuali implicazioni psicanalitiche di un’opera data. Per togliermi dai piedi (a Roma come direttore di una decisiva struttura televisiva ero soggetto ogni minuto ad una quantità di richieste tecniche e professionali d’ogni tipo) decisi di effettuare la trasmissione da Milano, dove sarei stato più libero e dove mi sembrava tirasse un’aria lombarda di maggiore efficienza rispetto alla Capitale. Mi sbagliai di grosso, tenuto conto anche del fatto che nella sede milanese di Corso Sempione mi avevano fornito, all’interno di uno studio, una mostruosa costruzione destinata ad ospitare gli invitati. Non riuscii mai a farla cambiare ma in compenso allestii a Roma un manipolo di collaboratrici molto in gamba, capitanate da una collaudata funzionaria RAI, Letizia Solustri, che resero possibile lo svolgimento del programma. Senza entrare in troppe precisazioni, avevo previsto anche un centralino telefonico per ricevere le telefonate e gli interrogativi degli spettatori. Al fine di evitare i rischi delle telefonate in diretta, il centralino prevedeva un’analisi/riassunto degli interventi telefonici degli spettatori. Sotto la guida di un’intelligente funzionaria della mia struttura, Anna Giolitti (figlia di Antonio Giolitti, il nipote di Giovanni; Antonio fu comunista poi socialista e di nuovo comunista), i testi così elaborati venivano periodicamente, durante la diretta, appresi dal pubblico. Era una soluzione che evitava la disordinata intrusione delle telefonate singole e, al tempo stesso, ricapitolava gli umori collettivi. L’iniziativa mi sembrava intelligente, ma probabilmente era stupida perché non l’ho mai vista copiata. Senza perdere ulteriore tempo con queste divagazioni su “La camera dell’inconscio”, mi ricordo che con la stessa capricciosità con cui mi era stata affidata la trasmissione, divenuta ormai in teoria la collocazione più prestigiosa di RAIDUE, De Berti me la tolse da un giorno all’altro. La Rossini scomparve di colpo e io ne ricavai una imbarazzante popolarità presso i più importanti psicanalisti italiani, persuasi che io fossi un adepto fervente della loro disciplina, mentre invece io non ne sapevo niente e fu proprio la mia ignoranza specifica a concedermi una disinvoltura ed un’autorevolezza assolutamente ingiustificate ma produttive.

In breve. Quando mia moglie mi chiamò, porgendomi il telefono, io risposi senza nessuna particolare reverenza. Perché Berlusconi era per me un intelligente avversario, entrato da poco nel grande mercato internazionale dei prodotti televisivi. Infatti, egli era noto soprattutto come un costruttore edile ma già nel 1978 aveva rilevato TeleMilano per diffondere via cavo programmi ai residenti di Milano2. In quello stesso anno era stata fondata la Fininvest e nel 1980 TeleMilano divenne Canale5, assorbendo più emittenti locali. E nel 1981 Berlusconi ebbe quello che obiettivamente va riconosciuto come un colpo di genio, “inventando” un’unica emittente nazionale composta in realtà da televisioni locali che però cominciarono a trasmettere contemporaneamente, via satellite perché Berlusconi non aveva la diretta, gli stessi programmi registrati con un giorno di anticipo. In quegli anni egli cominciò a farsi vivo nei mercati internazionali abitualmente frequentati dagli acquirenti RAI, come me, mercati articolati in una serie di appuntamenti fissi, in una sorta di girotondo annuale che credo sia valido ancora oggi. Ad esempio a Maggio a Cannes, subito prima del Festival, il MIP, poi finché durò, il primo mercato televisivo internazionale, il cosiddetto MIFED, aperto a cura della Fiera di Milano, allora all’avanguardia nella promozione delle merci e dei prodotti, e poi costretto a chiudere dal sabotaggio delle grandi società americane che fra Milano e la Croisette, preferivano la seconda. Poi ancora, fra fine Maggio e i primi di Giugno, i cosiddetti “May-Screaning” di Los Angeles, dove imparai a conoscere i “piloti” approvati dai 3 Network principali (NBC, CBS, ABC), e già collocati in programmazione già a partire da Ottobre, secondo un ordine impensabile in Europa e particolarmente nel caotico microcosmo delle televisioni nostrane. Ed infine ad Ottobre veniva il MIPCOM, sempre a Cannes, che tagliò ogni possibile “intrusione” italiana nel mondo dei mercati. Io qui Berlusconi non lo incontrai mai, anche se cominciò a frequentarli. Mi ricordo una volta in cui proprio all’inizio degli anni ‘80, ero a Los Angeles per RAIDUE insieme a Carlo Fuscagni, allora tipico esponente di RAIUNO. Carlo aveva lavorato a Segrate per un anno agli ordini di Berlusconi. Proprio in quell’occasione, appreso che Berlusconi era arrivato a Los Angeles, al primo ricevimento comune andò a salutarlo, visto che era stato il suo datore di lavoro, all’interno di una misteriosa operazione democristiana, della quale non ho mai capito esattamente le intenzioni e le dimensioni. Era quello il periodo in cui Berlusconi fondò il suo impero televisivo: nel 1982 comprò Italia1 dall’editore Rusconi e nel 1984, quindi l’anno dopo la telefonata, comprò Rete4 da Arnoldo Mondadori Editore, allora in realtà nelle mani di Mario Formenton. Il suo arrivo nelle due televisioni prima citate fu decisivo: nel giro di pochissimo tempo licenziò i dirigenti incapaci, sostituì gli acquirenti incompetenti, e dimostrò di avere capito come doveva funzionare un network uno e trino. E noi della RAI ce ne accorgemmo subito.
Se, in apparenza, Berlusconi non era individuabile nei mercati (ma, come si vede da quel che ho detto prima, c’era) si trovavano invece i suoi uomini e le sue donne. Fra queste ultime Luciana Paluzzi - aveva un figlio alto due metri che si chiamava Christian Halsey ma in realtà era italianissimo perché era cresciuto a Sanremo – e il suo capo, tifosissimo dell’Inter, all’interno di un ambiente totalmente milanista come quello della Fininvest. Poiché in America si possono foggiare le targhe automobilistiche a proprio piacimento egli ne aveva adottata una che diceva “I ♥ - cioè Love – Inter”, e ci teneva pazzamente. Volle ad ogni costo accompagnarmi a vederla al posteggio e ne era felice, con quel tipo di gioia che provano soltanto i tifosi sfegatati.
Con il personale di Berlusconi i rapporti erano corretti e vorrei dire cordiali, come capita, ad esempio, agli avvocati di parti profondamente avverse ma legati allo stesso codice di stretto sapore professionale. Avevo finito col vedere in Berlusconi un “nemico” legato alle stesse regole ed alle stesse convenzioni. Senza contare il fatto che il suo arrivo massiccio sul mercato lo aveva obbligato a rispettare regole e contratti, a differenza del mondo frammentato e disordinato dei piccoli programmatori televisivi privati, spesso indifferenti ad ogni disciplina legale e burocratica. Sicché quando mi chiamò al telefono – nome e indirizzo erano sull’elenco, quindi non fu un’operazione particolarmente segreta – ne fui stupito ma non moltissimo. Perché chiaramente, allora, dopo RAIUNO e poi RAIDUE, ero uno dei più noti programmatori di cinema in televisione e quindi interessarsi di me rientrava abbastanza nell’ordine aziendale delle cose. Berlusconi mi disse cortesemente che avrebbe voluto incontrarsi con me, io gli risposi che ogni domenica ero a Milano per una trasmissione televisiva, e lui mi disse di andarlo a trovare in una villa di Via Rovati, che era diventata il suo ufficio. Prendemmo un appuntamento, il giorno fissato andai da lui, venni introdotto da un omino ossequioso, e iniziò un lungo incontro con Berlusconi. Non riesco assolutamente a ricordarmi di cosa abbiamo parlato ma è chiaro che egli stava pensando ad assumermi visto che aveva bisogno proprio di un programmatore di film (ne aveva acquistati a centinaia ma chiaramente doveva avvalersi di uno del mestiere per mettere in ordine il palinsesto). È divertente notare che so di avere parlato a lungo – ho anche l’impressione di aver bevuto un bicchiere di latte ma forse mi sbaglio – ma non ricordo di cosa. E non ricordo le sue domande. Come se avessi avuto un riflesso aziendale nel cancellare qualsiasi contatto col nemico, anche se il mio incontro era assolutamente lecito e funzionale.
Ogni tanto mi è capitato di ripensarci. Probabilmente se l’incontro si fosse concretato in un’offerta da parte sua e io l’avessi accettata, l’intera mia esistenza sarebbe cambiata, e forse in peggio. Avrei sicuramente guadagnato di più e i rapporti di lavoro si sarebbero estremamente semplificati rispetto al mondo tortuoso, incoerente, spappolato, tipico dei meccanismi della RAI. È altrettanto probabile che qualcosa in me non sia piaciuta a Berlusconi (ho anche la sensazione di avere fumato in sua presenza, ed allora ero un forte fumatore) ma è sicuro che mi rimane questo totale vuoto della memoria. Ho come l’impressione che egli mi abbia quasi totalmente dimenticato, tant’è vero che qualche anno dopo ero stato designato come rappresentante di RAIDUE alla cerimonia di consegna dei Telegatti (in realtà era un’operazione noiosissima a causa dei continui rallentamenti e rifacimenti legati alla registrazione dell’evento). Senza particolare entusiasmo ma per tener fede al mio incarico, gli andai incontro in un corridoio e gli porsi i saluti di RAIDUE. Credo che non abbia capito bene che cosa gli dissi in quell’occasione e comunque sicuramente non mi riconobbe. Mi ricordo che mi guardò come se fossi stato un moscone fastidioso.
Non l’ho mai più rivisto, ma non riesco a provare per lui l’antipatia psicofisica che sembra radicata in tanti giornalisti, critici, e opinionisti dell’Italia di oggi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

good start

Antonio Barreca ha detto...

ma mi scusi, tutta sta manfrina su Berlusconi che sappiamo giá, tutti sti dettagli inutili di contorno e poi non si ricorda NULLA di quella conversazione? Niente di niente? mah...questo post se lo poteva risparmiare onestamente.